12 agosto 1944: L’eccidio nazista di S. Anna di Stazzema è tra gli esempi più efferati
di Adriano Marinensi
Erano in tanti quel giorno di agosto 1944, assiepati contro il muro, sulla piazza di S. Anna di Stazzema, piccolo borgo, tra Lucca e Carrara, sulle Alpi Apuane, 600 metri d’altezza, ma si respirava il profumo del mare della Versilia. Una fitta raccolta di casette di pietra, in forma di Presepio, addossate le une alle altre, com’era d’uso costruire anche in Umbria, sui colli. In tanti contro il muro e davanti una mitragliatrice nazista. Quando cominciò a sparare, si salvarono in pochi. Così come gli altri del paese. I pochi feriti oppure vivi per miracolo hanno raccontato di scene sconvolgenti, di case incendiate, di violenze inaudite.
Una azione di rappresaglia, senza misericordia, da parte delle Waffen S. S., i forsennati di Himmler, iniziata l’azione in mattinata e all’ora di pranzo, di vivo non c’era più quasi nulla li attorno. Il mattatoio, poi il fuoco per rimuovere le tracce: 560 morti, tutti inermi e civili, dei quali 130 bambini. Sopravvisse chi era altrove oppure qualche miracolato. Fu uno dei tanti effetti spaventosi di ideologie perverse che, a metà del secolo scorso, scatenarono nel mondo l’inferno.
Gli Alleati e le Linee Gustav e Gotica
Stava risalendo lo stivale l’esercito tedesco, al comando del sinistro Feldmaresciallo Albert Kesselring, dopo il crollo del fronte, a Cassino (Linea Gustav, dalla foce del Garigliano ad Ortona). Dovevano ripiegare sulla Linea Gotica, l’imponente fortificazione tra Massa Carrara sul Tirreno a Pesaro – Urbino, in Adriatico. I loro comandanti, scacciati dalla Sicilia dagli Alleati dopo lo sbarco del 10 luglio 1943, erano particolarmente feroci. Infatti, le comunità lungo il percorso furono oggetto di episodi improntati alla massima violenza. Uno per tutti: La rappresaglia delle Fosse Ardeatine, insieme a Sant’Anna, il male assoluto.
Il severo giudizio del Presidente Mattarella
Ha affermato il nostro Capo dello stato in una delle manifestazioni dedicate alla memoria dell’evento: “L’eccidio di Sant’Anna è, per l’intera Europa, una spinta costante a mantenere al primo posto il tema della pace e del rispetto umano”. Dunque, per condannare senza appello, chi scatena guerre di aggressione che provocano morti e distruzioni. Anche da quell’abisso dell’orrore è derivato il nostro secondo Rinascimento. Perciò – sono ancora parole di Mattarella – “gli italiani debbono avere grande riconoscenza ai pochi testimoni sopravvissuti, ai familiari delle vittime, a quanti si sono impegnati a ricostruire circostanze ed eventi, contribuendo ad erigere un monumento vivente, monito per le generazioni presenti e future”.
E’ morta domenica una delle bambine superstiti
Tra questi graziati dalla sorte (non dall’uomo lupo) Licia Pardini deceduta domenica scorsa all’età di 90 anni. Erano a lavorare nei campi il padre e alcuni suoi fratelli e si salvarono, mentre la mamma e la sorella di appena 20 giorni persero la vita di fronte ai colpi di quell’efferato plotone d’esecuzione. Aveva 12 anni Licia e assistette all’inferno profondo. Molti degli uomini di mezza età erano riusciti a fuggire; rimasti in paese vecchi, donne e bambini. La furia degli aguzzini si abbatté su di loro. Leggo in una fonte di studio: Evelina stava aspettando l’ostetrica per partorire. Arrivarono per primi i I perfidi giudii, fratelli maggiori (è il titolo del libro scritto dal Rabbino di Roma), gli aprirono il ventre con i pugnali, estrassero il bimbo, lo gettarono in aria e gli spararono. Il 13 aprile 1986, Giovanni Paolo II entrò (la prima volta di un Papa) nella Sinagoga di Roma e la notizia fece il giro del mondo.
La vicenda tragica dei 7 fratelli Cervi
I sentimenti di spietatezza dei gerarchi delle R. S. I., fondata il 23 settembre 1943 da Benito Mussolini, si possono esemplificare citando la vicenda dei Fratelli Cervi. Ho visto una foto vecchia e sbiadita che raffigura Alcide Cervi e la sua famiglia. Sono con lui la moglie e i suoi figli, tutti impegnati nella Resistenza. Accusati di aver organizzato attività militari antifasciste, vennero arrestati e – tutti insieme – fucilati nel poligono di Reggio Emilia. Rimembranza emblematica di volontà spietata e terroristica. Sono molte le città italiane che li hanno ricordati nella toponomastica, oltre alla letteratura ed al cinema.
I documenti di Sant’Anna nascosti nell’ ”armadio della vergogna”
Racconti accusatori dei fatti di Sant’Anna sono stati rinvenuti, nel 1994, dentro il famigerato armadio della vergogna, scoperto nella Cancelleria della Procura militare di Roma. Conteneva 696 dossier di attività istruttorie ed un registro con iscritte 2274 notizie di reato, relative a crimini di guerra, commessi dai nazifascisti sul territorio italiano nel biennio 1943 – 45. Con il dispositivo legale di archiviazione provvisoria, li avevano custoditi nello scaffale, poi rivolto con le ante addosso al muro. Fu oggetto di clamorose inchieste giornalistiche titolate, la prima “Una, cento, mille Ardeatine”, l’altra “Cinquant’anni di insabbiamenti”. Intento possibile, impedire l’azione giudiziaria per superiore ragione di Stato. Il più grande pasticciaccio brutto del nostro dopoguerra.