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Opinioni

L’alto significato del Giubileo 2025 nell’avverso momento storico

adminBy adminGiugno 20, 2022Updated:Giugno 20, 2022Nessun commento6 Mins Read
Papa Francesco l'8 dicembre 2015 apre la Porta Santa della Basilica di San Pietro. (foto Avvenire.it)

E il basso valore politico del “partito di lotta e di governo”

di AMAR

Leggo e trascrivo: C’è una esposizione a Castel Sant’Angelo (Roma) che ripercorre la storia dei 25 Giubilei, gli Anni Santi della cristianità. Il prossimo è programmato per il 2025 e sarà il secondo con Papa Francesco in quanto il precedente (straordinario) si è svolto nel 2015. Nella mostra, si parte dal primo (1300): fu un movimento spontaneo di devoti che andavano a Roma, in Vaticano, per lucrare l’indulgenza promessa. Si sa che l’uomo è il solo essere vivente dotato di raziocinio e quindi ha la possibilità di scegliere tra il bene e il male. E se sceglie il male, poi va cercando il perdono. Forse una esigenza collettiva di catarsi, unitasi, nel tempo, al flusso di elemosine utilizzate (non sempre) per la costruzione e il restauro di opere sacre e monumenti.

Eccolo allora Bonifacio VIII (Benedetto Caetani),“inventore” del Giubileo, il primo Anno di giubilo. In verità, lui interpretò non del tutto religiosamente, il diffuso sentimento popolare di “lavarsi la coscienza” ed evitare le infuocate pene infernali. Questo Pontefice fu uno dei più noti del Medio Evo, in quanto gli studiosi sostengono che non tenne molto a cuore le regole della santità.

Ebbe in Dante degli Alighieri un agguerrito competitor. Il sommo vate ce l’aveva con lui per le manovre che lo costrinsero all’esilio da Firenze. Poi, quella bolla Unam Sanctam a sancire la teocrazia, cioè il governo religioso e civile guidato spiritualmente dalla volontà di Dio e gestito dal Papa. In aggiunta, sempre secondo Dante, le pressioni di Bonifacio esercitate su Celestino V furono indebite e peccaminose. Infine l’accusa di simonia (la vendita, a scopo di lucro, delle indulgenze).

Per ciò e non solo, la previsione messa in bocca al defunto Pontefice Nicolò III, che l’ancora vivo Bonifacio sarebbe finito nell’ottava bolgia dell’Inferno, proprio tra i simoniaci. Sempre Bonifacio ebbe notorietà per lo scontro vivace con i Colonna e si prese in faccia lo schiaffo di Anagni. Gli è restato comunque il grande merito del Primo Giubileo. Forse ispirato dalla Perdonanza Celestiniana, istituita dal predecessore, a L’Aquila nel 1294, una funzione ancora rinnovata tra i vespri del 28 e quelli del 29 agosto d’ogni anno.

Come detto, il prossimo Giubileo ci sarà fra tre anni. Il rito prevede l’inizio nel periodo di Natale 2024 e il termine il giorno dell’Epifania del 2026. L’avvio con l’apertura della Porta Santa in S. Pietro; subito dopo verranno aperte le Porte Sante delle Basiliche di S. Giovanni in Laterano (la Cattedrale della Diocesi romana), di S. Paolo fuori le mura e di Santa Maria Maggiore. E’ grande l’attesa non soltanto del mondo cristiano, per quanto il movimento giubilare influisce sulla vita quotidiana, segnata dai ritmi intensi del passaggio e dell’affluenza dei pellegrini e dei turisti.

E’ in tale contesto che si inserisce il messaggio culturale contenuto nella esposizione di Castel Sant’Angelo. Tra i tanti documenti in mostra, uno almeno va citato come testimonianza di storia e di arte. E’ il prezioso modello della Fontana dei 4 fiumi (Danubio, Gange, Nilo e Rio della Plata) di Gian Lorenzo Bernini, dicono assicurato per “un milione a fiume”.

Ora, una vigorosa strambata verso un tema diverso. Era il 1947. Bazzicando le file della sinistra trinariciuta (Guareschi) era palpabile la voglia di rivoluzione. Come in Russia nel 1917, quando si fece piazza pulita dello zarismo e dello Zar con famiglia. Perbacco, quella la strada! Non pochi i rossi italiani a pensarla così. C’erano le armi e pure un certo pizzicorino nelle mani. Avanti popolo, alla riscossa … Tanto più che al Cremlino comandava Baffone Stalin, l’adorato devotamente dai compagni del mio stivale e intangibile coprotagonista della sconfitta nazifascista. Purtroppo, dietro quel trionfo aveva celato tutti i suoi misfatti, le purghe, gli omicidi politici, rimasti inquattati oltre la sua morte (5 marzo 1953 e L’Unità ne dette l’annuncio con straziante cordoglio), sino al XX Congresso del PCUS (1956), quando il mondo conobbe quegli orrori per bocca del Segretario Nikita Kruscev e del “Rapporto sul culto della personalità e le sue conseguenze”.

Comunque una rivoluzione giustizialista parve, nel dopoguerra, più che opportuna dalle parti della sinistra maggiore. A fare da ostacolo l’impiccio del Governo. Nel 2° De Gasperi (luglio ’46 – maggio ’47) il PCI di Palmiro Togliatti, il Migliore, ci stava dentro. Aveva lasciato fuori dalla porta gran parte del bagaglio ideologico per sostenere giudiziosamente lo sforzo della ricostruzione, seppure mischiando, nella gestione del potere, i proletari agli odiati borghesi, preti e mangiapreti gomito a gomito. Il Governo che cadde quando il democristiano tornò dagli USA con il prestito dei 100 milioni di dollari in saccoccia. E allora il Migliore scrisse che la crisi dell’Esecutivo era stata “suggerita da quei Circoli politici americani affollati intorno a De Gasperi”.

Tra i molti impegni assunti dal PCI, la ricostruzione delle fabbriche e il rilancio dell’occupazione. E allora – cari Compagni – come possiamo organizzare la rivoluzione pure dentro le aziende? No, non ci azzecca. Però, per tenere a freno le masse accigliate, toccava inventarsi qualcosa di convincente. Il Migliore (sennò che Migliore sarebbe stato?) tirò fuori dal cilindro il coniglio: un bel partito di lotta e di Governo. Poi venne il 1948 e ognuno riprese la sua maschera. Ma, che vuol dire partito di lotta e di Governo? Ed ha diritto di cittadinanza in un Paese – per esempio, l’Italia odierna – stretto nella morsa tra gli effetti della guerra di aggressione russo – ucraina e quelli dell’emergenza sanitaria ancora non debellata?

Per una spiegazione riferita ai tempi nostri, pressappoco quel che sta facendo Matteo il Vecchio con un piede nella maggioranza e l’altro nel campo dell’opposizione. ‘Na botta deqquà e una dellà. Allo scopo di non farsi fregare i voti (e la leadership del centrodestra) da Giorgia l’Eterea. Come si fa? Si prende un po’ di demagogia, una discreta quantità di populismo, un quantitativo adeguato di nazionalismo baggiano, una dose di politica spettacolo (tipo Papeete beach), si mischia tutto e si prova a vedere l’effetto che fa. A dire il vero, le ultime elezioni amministrative pare abbiano dimostrato che la miscela non funziona. Il Carroccio ha cominciato a scarrocciare, oltre il binario prestabilito.E il terrore del sorpasso alimenta il panico nella Lega. Giorgia, Giorgia, anche tu Giorgia, figlia mia?

giubileo Papa Francesco
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