I territori attraversati offrono un rilevante patrimonio storico e ambientale
di Adriano Marinensi
Un anno fa, di questi giorni, comparve sui giornali, a tutta pagina, la notizia che fece esclamare agli umbri, forte e chiaro, Finalmente! Si scrisse: Per il rilancio della Ferrovia Centrale Umbra, sono pronti – parola del Ministro dei Trasporti – 118 milioni, da attingere al PNRR e da spendere entro il 2026. Piena soddisfazione pure da parte dell’omonimo “ministro” regionale Melasecche: Sulla F. C. U. – disse – stiamo lavorando a progetti paralleli di valorizzazione residenziale, sociale e turistica. Dunque per farla diventare strumento moderno, efficiente e funzionalmente poliedrico. Messe insieme, si è trattato di due buone novelle che prefigurano soluzioni di fondamentale importanza, non soltanto come semplice mezzo di trasporto.
L’impegno espresso mi ha riecheggiato, non per la prima volta, il tema ed i contenuti di un Convegno, promosso (è passato mezzo secolo – Todi 24.2.1973), dal Consiglio regionale appena nato. S’era aperta, con l’istituzione delle Regioni, un’epoca nuova di mutamento politico e culturale, caratterizzata da importanti consultazioni intorno ai principali problemi dell’Umbria: Tra i primi, quello delle prospettive della F. C. U., ritenute essenziali per un moderno assetto dei trasporti regionali. Ritenute allora e ancora oggi tal quali. E pure per motivi programmatici e cioè il privilegio assegnato alla circolazione su rotaia, di minimo impatto ambientale.
Ci fu chi sottolineò al Convegno (Sandro Boccini, Consigliere regionale): “La nuova Istituzione sarà un momento e un motivo di crescita di tutta la classe politica, dei gruppi dirigenti umbri che dovranno trovare in loro stessi, gli strumenti di uno sviluppo democratico, libero e responsabile”. Di tale sviluppo democratico, il Convegno parve espressione autentica per l’elevato livello del dibattito, la qualità delle proposte, il contributo delle soluzioni prospettate. Se poi, molte delle questioni trattate, sono rimaste aperte, l’occasione produsse idee ancora oggi utili nella ricerca di dare alla ferrovia una funzione efficace e moderna.
Sentii parlare di asse portante per la rinascita di una larga parte dell’Umbria… onde evitare lo spopolamento dei territori attraversati… ampiamente legati all’artigianato, alla piccola e media industria ed al turismo. Proprio sulla funzione turistica della F. C. U. venne presentato un “audiovisivo” che ricevette lì attenzione del Convegno. Il Presidente del Consiglio regionale Fabio Fiorelli indicò l’urgenza di un progetto tecnico e finanziario per l’ammodernamento della ferrovia. Che, sin da allora, era vista come elemento primario per migliorare i collegamenti interni e con le altre regioni. Severa la critica rivolta alle esperienze fallimentari realizzate sopprimendo avventatamente importanti attrezzature di trasporto su rotaia (affatto casuale il riferimento alla Spoleto – Norcia, ritenuta ramo secco e soppressa).
In quel tempo, la ferrovia era gestita dalla MUA (Mediterranea Umbro Aretina) e presentava inconvenienti legati alla sicurezza delle popolazioni (la pletora dei passaggi a livello), alla modestia delle attrezzature rotabili, alla carenza di finanziamenti. Eppure le località toccate mostrano valore di rilievo. Allora come oggi, le principali sono: Terni, Sangemini, Acquasparta, S. Faustino (le terre delle acque minerali), Massa Martana, Colvalenza (il Santuario), Todi, Deruta (le ceramiche), Perugia, Umbertide, Città di Castello, con l’aggiunta della diramazione PG Ponte S. Giovanni – PG Sant’Anna. Quei binari, lunghi 153 chilometri, hanno anche una storia iniziata oltre un secolo fa, con la firma del Regio Decreto, datato 27.9.1908, quando era Ministro dei LL. PP. l’on. Ciuffelli, umbro di Massa Martana. Il Decreto aveva per oggetto: “Costruzione ed esercizio di una ferrovia da Umbertide a Terni, per Ponte S. Giovanni”. Seguì la Convenzione gestionale sottoscritta, per la parte privata, dal Signor Conte Cav. Uff. Giuseppe Conestabile della Staffa (Fantozzi non c’entra!).
Insomma, alla Terni – Sansepolcro, il Convegno riconobbe il ruolo di infrastruttura viaria al servizio dell’intero territorio regionale; parallelamente all’altro di valorizzazione del patrimonio storico e ambientale. La realtà purtroppo testimonia che la strada del paradiso, in molta parte, è rimasta lastricata di buone intenzioni. Ad ogni buon conto, nella ricerca degli odierni progetti di valorizzazione residenziale, sociale e turistica – come ha affermato Melasecche – gli atti dell’incontro partecipativo di Todi, seppure molto datati, potrebbero offrire utili suggerimenti.
Il dossier è voluminoso, i contenuti tecnici ed amministrativi autorevoli, alcuni sulla base di studi scientifici e concrete esperienze. Andarli a rileggere non costa nulla. Ne potrebbe scaturire qualche giusto consiglio per i futuri progetti esecutivi. Il principio partecipativo usato allora, potrebbe persino aiutare la doverosa spiegazione riguardante un paio di vicende successive ancora nascoste nel porto delle nebbie: Il mancato completamento della Metropolitana Terni – Cesi (15 milioni spesi)e, oltremodo misterioso, l’acquisto (16 milioni) e l’abbandono dei 4 Minuetti elettrici.
Ed ecco il consueto fuorisacco. In occasione della “prima” alla Scala, con il Macbeth di Verdi, il pubblico che gremiva il teatro della grande lirica – per sei lunghi minuti – si è messo a ripetere in coro bis, bis. Ma gli sguardi non erano rivolti verso la ribalta. Tutti in piedi a mirare il palco d’onore ove si trovava Sergio Mattarella. Un ritmato appello a rimanere al suo posto di Presidente della Repubblica. Forse quell’invito si può leggere in due modi: un attestato di stima e di ringraziamento per il suo integerrimo operato di uomo e di politico; il fermo desiderio degli italiani in un futuro prossimo di stabilità, di tranquillità, senza i sussulti del confronto esasperato, aggiunto agli affanni del COVID. Insomma, le bocce ferme per fertilizzare la ripresa in atto.
Il collega Mario Ajello, nel commento, ha scritto di “una forma di adesione a ciò che egli (Mattarella) ha rappresentato e rappresenta, la correttezza istituzionale, lo stile politico impeccabile, una capacità di leadership senza sbavature e forzature, una immagine dell’Italia seria, che ci fa onore agli occhi di tutti. E’ l’identikit del Presidente che serve al nostro Paese”. Dico io: Come si fa a dissentire? Però – caro Ajello – glielo vai a dire tu a quelli della destra, stranamente unita, che l’identikit così tracciato non somiglia per niente al ritratto di Nonno Silvio?