La complicata spartizione dei pani e dei pesci nel testamento del Cavaliere
di AMAR
Quando fui bambino e cominciavo a saper leggere – eravamo ancora nella prima metà del secolo passato – mi regalarono un abbonamento al Corriere dei piccoli ed un altro a Topolino. Sul Corrierino si narrava di uno strano alchimista, Alambicchi, capace di trasformare, con la sua cera miracolosa, una figura umana soltanto disegnata, in una persona in carne e ossa. Quindi, la moneta, finta o falsa che fosse, l’oro e l’argento scritto sulla carta, si potevano far diventare straripante ricchezza. Il campione di madornale opulenza stava nell’altro periodico, Topolino, ed era Zio Paperone, trionfante nel suo enorme deposito di monete (insidiato dalla banda Bassotti), dentro al quale nuotava con l’avidità propria del pescecane.
Alambicchi e Zio Paperone, personaggi finti ovviamente, immaginari per la fantasia di noi fanciulli, la credulità gemella dell’innocenza. Quando, mi è capitato di essere venuto al mondo da tanto tempo, un altro ricco sfondato ho (virtualmente) conosciuto nella vita: Zio Silvio (Berlusconi). Che personaggio, ragazzi! Cantava sulle navi da crociera quando aveva la testa piena di capelli; al tempo della bandana posta a nascondere la risemina del cuoio capelluto, si è ritrovato – in buona parte per merito personale – pieno zeppo di preziosità. Anzi, arricchito, sino al limite dell’imbarazzante.
Il conto preciso delle sesquipedali sostanze patrimoniali l’ha dovuto fare il Notaio all’apertura del testamento post morte sua. Altro che Zio Paperone di mia lontana memoria. Zio Silvio è risultato titolare dei seguenti beni, in molta parte o per intero: Una dozzina di canali televisivi con i quali ha potenziato il suo profilo di uomo politico e di affari, potendo sempre dire all’occorrenza fischi per fiaschi; altrettante ville sontuose, sparse qua e là e acquistate con disinvoltura quasi fossero generi alimentari al mercato rionale. Disponibili le faraoniche dimore per collocare mogli divorziate, fidanzate dismesse e pure per organizzare in allegria, cene eleganti. Dentro parchi verdi da sembrare pezzi di foreste amazzoniche. All’istrione piaceva di piacere. Alle donne e agli uomini, indifferentemente, purché fossero iscritti nelle liste elettorali.
Quindi (sempre da elenco notarile) ritroviamo banche (Mediolanum), case editrici (Mondadori), squadre di calcio (Milan e Monza), teatri (Manzoni di Milano). Basta così? Macché. Dimenticavo er più, la holding Fininvest e, nei forzieri bancari, nazionali ed esteri, montagne di liquidi, da permettere al medesimo de cuius un lascito di 30 milioni elargito al silenzioso amico Marcello Dell’Utri (una penna malevola ha scritto “per foraggiare l’omertà”), altri 100 al devoto fratello e ancora 100 alla quasi moglie, sposata per finta durante una carnascialesca cerimonia simil nozze. Il teatrino dei pupi.Non si è fatta parola dei gagliardi mezzi di locomozione di terra, di mare e dell’aria. Delle collezioni d’arte, delle suppellettili di pregio e storiche (il lettone di Putin). Chissà quanto altro si potrebbe enumerare al posto di ecc., ecc., ecc. Incommensurabili voluttà riservata agli dei. Oppure, alla Alberto Sordi: Io sono io e von non siete … nessuno.
Fossi un giovane sintetizzerei così: Ragazzi, tanta roba! Meglio, un malloppone. E in parte, pure e pare, esentasse. La divisione tra i 5 figli si presentava difficile, quasi far quadrare un cerchio. Però, opinano che Zio Silvio ci sia riuscito, salvo successivi annessi e connessi insoddisfatti. Tutto questo quanto, in aggiunta ai molti miracolati (e miracolate) in vita natural durante. In soldoni, fate conto a ciascuno il salario di un operaio metalmeccanico che lavorasse per un paio di secoli.
Dunque, il confronto tra ricchi – Zio Paperone immaginario e Zio Silvio vero – può dirsi vinto dal ricco vero. Con l’omino di Arcore siamo di fronte ad un personaggio eclettico che ha saputo coniugare la potenza finanziaria al potere politico, costruendo l’impero lasciato in eredità. Protagonista di una saga leggendaria, come fosse caduto dal cielo per grazia divina. E quando in cielo è tornato, la frenesia da panegirico ha travolto gli stessi cantastorie. E dai Funerali di Stato si è levato il coro cortigiano che chiedeva osannante: Santo subito. Quantomeno beato. Ogni magagna occultata e rimossa.