La regina maliarda fece cadere l’arazzo e disse, senza veli, “Gradisca!”
di Adriano Marinensi
Questa Cleopatra VII, antica regina d’Egitto, faraona, ma non gallina, dev’essere stata una gran bella gnocca per far girare la testa a due “pezzi da 90” della Roma appena, appena preimperiale e ancora avanti Cristo. Faceva parte della stirpe dei Tolomei. Il Regno, ai confini del Nilo, era turbolento e agitato da sommosse e congiure di palazzo. Lo stesso Tolomeo XII, padre di Cleopatra, era morto ammazzato. In più, la famelica Roma incombeva sul territorio da quando Tolomeo X s’era legato economicamente all’Urbe per finanziare la guerra contro suo fratello Tolomeo IX.
Al tempo storico della divina Cleo, ci stavano già le Piramidi, però Giulio Cesare capitò da quelle parti non come turista e neppure come archeologo: più prosaicamente per fare il suo mestiere, cioè il conquistatore di popoli. S’era distinto in Gallia, spesso ricorrendo a forme di sterminio. E ci aveva scritto pure un libro, il “De bello gallico”. Il divo Giulio adorava gli Dei e il potere. Inseguiva con tenacia la gloria al pari di un sosia, pressoché identico, ch’io dovetti sopportare, durante alcuni anni, da quando venni alla luce, fino alla caduta del regime pennacchiuto.
Cesare, il conquistatore conquistato
In Egitto, Giulio Cesare si imbatté in Cleopatra che, ancora adolescente, era salita al trono per la morte del genitore Tolomeo XII. In verità, il babbo suo trapassato, sul testamento aveva scritto: Mia figlia deve regnare insieme a suo fratello Tolomeo XIII. Invece, il bastone del comando lo volle gestire da sola. Arriva Cesare, arriva Cesare! Si sparse quel giorno la voce, quando il mattatore attraccò al porto, di primo acchito senza colpo infierire.
Cleo – dice la narrazione storico leggendaria – gli fece visita con un arazzo avvolto addosso. Quando lo srotolò, le forme appetitose comparvero nude e crude. Il grande generale, li per li, corrugò la fronte, ma quando ella disse: Gradisca! accolse l’invito di buon grado. Nove mesi passarono in fretta e nacque Cesarione, così chiamato in quanto pare fosse di panza grossa.
Il “potentato” di Giulio Cesare ebbe fine tragica alle idi di marzo del 44 a. C. Un indovino lo aveva avvertito: “Guardati da Bruto, sta attento a Cassio, non avvicinarti a Casca, tieni d’occhio Cinna, non fidarti di Trebonio, fai attenzione a Metello …” Lui però era Cesare, quindi non gli diede retta. E si prese le coltellate (secondo Svetonio furono 23) di Bruto, Cassio, Casca, Cinna, Trebonio, Metello e degli altri congiurati.
Shakespeare fa dire a Marco Antonio, durante la subdola orazione funebre: “Quando il nobile Cesare vide Bruto che feriva, gli si spezzò il gran cuore e, nascondendo il volto nel mantello, proprio alla base della statua di Pompeo, che tutto il tempo si irrorava di sangue, il gran Cesare cadde”.
Un’altra vittima di Cleo: Marcantonio
Dopo Giulio, ecco comparire, in Egitto, Marco Antonio, lo stesso dell’ “Io sono venuto a seppellire Cesare, non a lodarlo”. Il compito suo era di guerreggiare i Parti. Fece sosta ad Alessandria. Aveva conosciuto di sfuggita Cleopatra quando l’altro drudo se l’era portata a Roma. Volle approfittare della fermata per assicurarsene l’alleanza e conoscerla più da vicino. Tanto da vicino che, nel talamo della maliarda, si trattenne il tempo lungo necessario a “produrre” tre figli. La faccenda così organizzata, non piacque al Senato romano. I Padri nobili avevano ragione: La Patria andava difesa in altro modo e con differente brando.
Ottaviano, il primo Augusto
Entrò allora in scena Ottaviano (Augusto)a capo di una flotta agguerrita e in veste di vendicatore. Il primo tempo della sua partita versus Antonio e Cleopatra, si giocò nella battaglia di Azio. Flotta contro flotta, nave contro nave e alla fine vinse Ottaviano. Che fece fuori Cesarione, personaggio diventato scomodo. La storia piccante giunse a conclusione: Marco Antonio sconfitto si uccise e Cleopatra pure, ponendosi un aspide in seno (ma pare fosse leggenda).
Sul triangolo amoroso Giulio – Cleo – Antonio è stata scritta una vasta letteratura ed una fitta filmografia. William Shakespeare mise in scena Antony and Cleopatra; George Bernard Show, Caesar and Cleopatra, due drammi largamente presenti nel teatro d’autore. E tre personaggi che segnarono l’epoca del passaggio storico dalla Repubblica romana all’Impero, durato l’Impero cinque secoli, dal 27 a. C. al 476 d. C. Fu guidato anche da “condottieri” mezzi matti oppure dissoluti oppure d’indole tiranna (Caligola, Nerone, Diocleziano, Caracalla, Commodo, Eliogabalo). Molti di loro dovettero fare i conti con le scorrerie dei barbari saccheggiatori che non ebbero rispetto neppure per la Città Eterna, per le sue ricchezze e per l’arte.
Pensiero moderno e vagabondo. Sta scritto così: “L’ultima tendenza in fatto di benessere all’aperto si chiama silent walking, cioè, camminare in silenzio per ritrovare l’armonia e l’equilibrio psicologico e fisico.” Lo afferma la scienza del comportamento. Ci si può muovere lungo un sentiero alpestre oppure sul bagnasciuga di una spiaggia deserta. L’additivo fondamentale è il silenzio. E la natura attorno, non contaminata dai tormenti urbani che hanno preso gli uomini, le donne, ancor più gli anziani, i bambini in ostaggio, prigionieri di una condizione ostile.
Allora, via dalla pazza folla, via dal baccano chiamato ipocritamente civiltà del movimento. Chi se ne intende di cura della persona, sostiene che l’incedere taciturno può diventare attività curativa per il corpo e lo spirito. Dunque, trascorrere l’esistenza in luoghi percossi da ridde di decibel non è affatto salubre. Malevolo è il perenne frastuono, la musica obbligatoria e altisonante, il blaterare (per esempio, della movida). Meglio l’aria cheta, meglio ascoltare le voci della natura, il canto degli uccelli, il fruscio del vento tra le fronde, lo sciabordio della risacca, il crocchiare dei passi sopra le foglie morte. Quindi – almeno, di tanto in tanto – cercare luoghi dove si può procedere in solitudine è cosa buona e giusta. Oltre ad una scelta possibile: Basta innamorarsi della nobiltà del silenzio.