Fu uno dei clamorosi falsi umani e storici del regime nazista
di Adriano Marinensi
La morte improvvisa e il solenne funerale di Stato di Erwin Rommel furono due eventi “organizzati” ignobilmente, a danno della verità e della storia, da Adolf Hitler e dal regime nazista. Rommel era un alto grado dell’esercito, che già aveva dimostrato doti belliche durante la guerra 1914 – 18, in particolare nella battaglia di Caporetto (1917). Da giovane ufficiale conquistò prestigio e notorietà per le sue imprese militari.
Diventato, con Hitler, Feldmaresciallo, ebbe il comando di una Panzer Division in Francia, poi l’apoteosi in Nord Africa con l’Afrikakorp che inflisse pesanti sconfitte alle truppe britanniche. Fu soprannominato la volpe del deserto. E’ stato ricordato di recente, durante le manifestazioni rievocative dello Sbarco in Normandia (6 giugno 1944), come comandante delle guarnigioni tedesche sul fronte occidentale.
Lo scacchiere di guerra in Nord Africa (1940 – 43) coinvolse un fronte molto vasto, dall’Egitto al Marocco e vide impegnato anche l’esercito italiano guidato dal generale Rodolfo Graziani. Famose le battaglie di El Alamein e l’assedio di Tobruk, teatro di sanguinosi combattimenti. Mussolini, sulla scia delle imprese di Graziani, volò in Africa per incontrarlo: lui però gli fece dire ch’era molto impegnato in prima linea e non amava stare nelle retrovie. Il Duce non gradì. La Campagna d’Africa si concluse con la resa delle forze italo – tedesche il 13 maggio 1943. Molte migliaia i morti, i feriti, i dispersi, i prigionieri, in tre anni di scontri e di alterne vicende.
Quando, per la Germania nazista, le sorti della guerra cominciarono a declinare, Rommel si permise di dissentire dalla strategia del Fuhrer. Il grande capo, che non ammetteva da nessuno l’espressione di idee diverse dalle sue, quella quasi insubordinazione se la legò al dito. Il Feldmaresciallo subì delle ferite a seguito del mitragliamento dell’auto sulla quale stava viaggiando insieme ad alcuni collaboratori. Dissero negli ambienti militari ch’era scampato ad un aereo nemico; invece, dopo la fine della guerra, fu accreditata un’altra versione: a mitragliare era stato un caccia tedesco inviato da Hitler.
E venne il 20 luglio 1944 con la messa in atto dell’Operazione Valchiria, l’attentato al Fuhrer che avrebbe potuto cambiare il destino del mondo e quello di qualche milione di morti. Lo organizzarono numerosi alti ufficiali della Wehrmacht che aveva come motto Gott mit uns, Dio con noi, un dio crudele, però. A capo della congiura, il colonnello Claus Von Stauffenberg, il quale portò la bomba ad orologeria dentro la borsa nascosta sotto il grande tavolo della riunione convocata in un capannone della città polacca di Rastemburg. L’esplosione causò 4 morti e 20 feriti. Hitler però rimase quasi illeso. Il fallimento del colpo di Stato, messo in atto per aprire una trattativa di pace, ebbe per conseguenza l’arresto di circa 5000 persone e l’eliminazione fisica di quasi 200 militari, molti di rango elevato.
Tra i sospettati di connessione con i cospiratori finì anche Erwin Rommel. Del suo caso si occupò in segreto la Corte Militare d’Onore che decretò addirittura la radiazione dall’esercito. Però il Feldmaresciallo, agli occhi del popolo e dei soldati al fronte, era una icona, quasi una immagine sacra. Il tradimento, vero o semplicemente probabile, meritava d’esser punito. A questo punto, Hitler e l’alta gerarchia nazista concertarono il falso storico della morte di Rommel.
Gli imposero la scelta tra il disonore di un processo di fronte alla Corte marziale e il suicidio, con assolute garanzie per la famiglia. Adolf gli mandò a casa due generali con la fiala di cianuro. Lui informò la moglie e il figlio e salì a bordo dell’auto sulla quale bevve il veleno. Gli emissari del Fuhrer portarono il corpo in ospedale dove costrinsero un medico a sottoscrivere il certificato di morte avvenuta per cause naturali: Deceduto a seguito di attacco cardiaco, complicato da emorragia cerebrale, in conseguenza delle ferite riportate nel mitragliamento dell’aereo nemico.
Quindi, il funerale con ogni onore militare, l’orazione altisonante, il feretro sopra l’affusto di cannone, avvolto nella bandiera, profonde espressioni di cordoglio alla famiglia ed al popolo tedesco in lutto. Compresa la gigantesca corona d’alloro inviata dal baffino feroce a completare la farsa. Era in progetto anche un grandioso monumento funebre, ma gli eventi successivi non lo resero possibile. La storia, quella vera e nobile, fece giustizia di tanta cialtroneria ed Erwin Rommel – pur restando tra i responsabili della scellerata guerra nazista – ebbe il riscatto dall’accusa di alto tradimento.
Pensiero scapigliato
Durante la fase acuta del COVID ci fu vietato l’uso della stretta di mano in segno di saluto all’incontro. Il motivo lo aveva già spiegato Trilussa in una poesia: “Quella de dà la mano a chicchessia, nun è certo un’usanza troppo bella. La mano asciutta o sudarella, quanno ha toccato quarche porcheria, contiè er bacillo d’una malatia che t’entra in bocca e va ne le budella”. Qualcuno si è messo a studiare l’età della stretta di mano e l’uso del gesto dalla notte dei tempi. Si è scoperta l’usanza per sancire alleanze, suggellare intese, promesse di matrimonio tra famiglie, accordi economici al mercato, contratti di lavoro in campagna.
Si scambiarono una stretta di mano Re Vittorio Emanuele II e Garibaldi a Teano, il 26 ottobre 1860. Nei riti religiosi è testimonianza di fraternità: Scambiatevi un gesto di pace. Nel saluto rispettoso, la stretta di mano è sostituita dall’inchino, dalla riverenza e dalla scappellatura. Ha importanza anche in talune forme di malavita. C’è stato persino – nel corso dell’infausto ventennio – chi ne ha cancellata la tradizione. Il duce avvertì: “Le strette di mano sono finite. Il saluto romano è più igienico, più estetico, più breve”. Sicuramente pure più maschio! Ancora oggi non sono pochi quelli che la pensano come il “puzzone”. Salutano ancora romanamente. E penosamente.