I decibel in eccesso sono il derivato della (in)civiltà moderna
di AMAR
Questa nota mi permetto di inserirla nella mia antica lotta al rumore molesto, che da sempre vado pugnando invano. Più che lotta, una crociata contro il nemico che affligge il sistema nervoso, l’equilibrio psichico, l’integrità fisica. Dell’uomo e di molti altri esseri viventi. Ormai invadente l’intero sistema sociale. Prendiamo, per vicinanza di data, quel vezzo di stupidità che sono i botti di fine anno. A Terni, il signor Sindaco, nel dicembre scorso, ha emanato una ordinanza di divieto totalmente, come sempre, inosservata. E neppure fatta osservare.
A mezzanotte, puntuale, la fiera dell’idiozia ha riempito di frastuoni la città. Dissipando quattrini che sarebbe stato molto più utile destinare alle famiglie in difficoltà. Il signor Sindaco, nel testo dell’ordinanza, ci aveva messo pure gli animali domestici, quasi una invocazione ai proprietari di cani e gatti, ad astenersi da un esercizio che fortemente spaventa le povere bestiole. Manco i “canisti” gli hanno dato retta. Bum, bum, bum! Sembrava scoppiata la guerra (all’intelligenza).
In contrasto con tale usanza che “santifica” il rumore, gli americani ne hanno inventata un’altra delle loro. La chiamano Silent Party. Si tratta di serate speciali da trascorrere collettivamente, in luogo chiuso, nella pace dell’anima e dell’apparato uditivo, quotidianamente afflitto dall’aggrovigliato modo di campare nelle nostre città. Alcune dette megalopoli. Nel Silent Party, a colui che guida il silenzio, è concesso il potere di espellere i trasgressori. Taci, il silenzio ti ascolta. Per disubbidire basta poco, dallo starnuto in poi. La serata è asettica persino al brusio: Non si parla, ovviamente, non si beve (il frusciare della mescita potrebbe rompere l’armonia), non si gioca, neppure a carte (posate sul tavolo potrebbero sgrigliolare). Dunque, NO decibel al Silent Party. Mi dileggiano i NO vax, green pass, Torino – Lione e tutti i NO per principio preso e far gazzarra. Solo il NO decibel, il NO cacofonie mi sconfinferano. Il resto è tormento.
Già, i decibel. Sono l’unità di misura convenzionale per indicare l’intensità del suono e costruire la scala del rumore. Il vocabolario, tra i sinonimi del termine rumore, ne elenca molti, tutti facilmente rilevabili nel’assillo dei giorni. Eccone alcuni, in ordine alfabetico: Baccano, bailamme, cagnara, canea (il fido sul balcone di fronte), clangore (l’alto suono delle discoteche), confusione, diavolio (il bar sottocasa), fragore (il televisore della porta accanto), frastuono, schiamazzo (quello della movida). Va evidenziato che, da 60 decibel in su, il suono, seppure armonico, diventa fastidioso. Insopportabile con una quantità superiore a 70 – 80 decibel. La soglia del dolore è posta intorno ai 130, poco dopo il martello pneumatico per lavori stradali che si attesta intorno ai 100.
La normativa vigente in Italia è complessa e pensata per “calmierare” il disturbo. Che la legge punisce quando assale la quiete pubblica, investendo una pluralità di persone. Ma, i comportamenti sanzionabili sono di molteplice spessore e vanno a costituire il fenomeno dell’inquinamento acustico. Siccome, emettere sanzioni è impopolare, allora una abitudine amministrativa è invalsa: Chiudere un occhio e entrambe le orecchie, così da non disturbare l’elettore incivile. E neppure intralciare il traffico a scoppio, sennò il motorizzato si disturba e nell’urna si risente.
E’ innegabile che i motori a scoppio – spesso a sconquasso, le moto di grossa cilindrata, i ciclomotori truccati – impattino in modo scostumato sulla qualità della vita. Con gli effluvi prodotti dai tubi di scappamento e altrettanto con le detonazioni a sparo. Anche di notte, quando bastano pochi decibel per non farti dormire. Una pesante colonna sonora alla base della quotidianità urbana. Mi è parsa quindi geniale la trovata di taluni amministratori francesi i quali hanno deciso di installare, accanto agli autovelox e in altri punti strategici, dei marchingegni che controllano il rumore. E, se sorpassi il livello, ti multano brillantemente. Signor Sindaco di Terni, lasci perdere il divieto dei fuochi d’artificio e faccia mettere in funzione gli impianti misura rumore. Utili per attenuare il dissesto finanziario del Comune e aumentare, a botte di contravvenzioni, il senso civile degli scavezzacollo.
Per questa mia avversione al ricatto cacofonico, preferisco (preferivo) la montagna al mare. La montagna che nel bosco tace, fa parlare gli alberi, le loro fronde, la natura colorata, il paesaggio variegato, gli animali silvestri, il falco lassù, talvolta immobile, a volte roteante a cerchio. In montagna, qualunque suono è cortese, gradevoli le armonie: il belato delle greggi all’alpeggio, delle mandrie muggenti, il gorgogliare dei ruscelli. E poi, non ci sono gli ombrelloni, come al mare; e neppure le signore sdraiate che vociano e raccontano fatti loro di nessun altrui interesse. La scorsa estate sono andato al mare, dove la pressione è bassa, però, di tanto in tanto, stando nella confusione del bagnasciuga, ho evocato il piacere silente della montagna. Così è (se vi pare).
Pensiero divergente. Però, che strano Paese è questo nostro Paese. Distante una manciata di giorni dalla prima chiama (buffa espressione) per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, il solo candidato messo da settimane in circolazione, con tanto di grancassa politico – giornalistico – televisiva, è l’ex Cavaliere di Arcore. Si tratta soltanto di contare i voti e, se mancano, il mercato è aperto. A proposito, la sapete la barzelletta del nonnetto che schifava il fisco, amava tanto i cibi “piccanti“ (di sera) e la giustizia alla Alberto Sordi nel film io sono io, voi non sete un c …? Beh! Ve la racconto la prossima volta.