La Natività è la rappresentazione più presente nell’arte pittorica
Se, in tempo d’Avvento, dovessimo dividere il mondo tra presepisti e alberisti, cioè tra chi preferisce avere in casa il Presepio e gli altri l’albero di Natale (l’abete), noi umbri dovremmo stare dalla parte dei tanti che hanno salda e antica la rappresentazione della Sacra Famiglia di Nazareth. Non soltanto per tradizione secolare, ma perché fu San Francesco ad “inventare” il Presepio, a Greccio, uno dei quattro romitori della Valle Santa, posto sul confine tra la nostra regione e la Sabina. Gli altri sono Fonte Colombo, la Foresta, Poggio Bustone.
Era il 1223, quando il Santo di Assisi, durante uno dei suoi pellegrinaggi di fede, ebbe il miraggio e, sulla scorta della consuetudine, volle rievocare il miracolo solenne della nascita del Redentore, chiamando gli abitanti del luogo ad imitare i pastori, in un ambiente naturale. Fu quello di Greccio l’evento al quale fare riferimento per inquadrare non solo la sacralità del Natale, ma anche per far comprendere alla gente di montagna quel che accadde a Betlemme. Giotto, nella 13^ delle 28 scene del ciclo di affreschi dedicati alla Storia di S. Francesco nella Basilica superiore di Assisi, ha richiamato quel Presepio vivente e ne ha diffuso la fama.
Perché il simbolo magico del Natale è il Bambino, la capanna, la mangiatoia, il bue e l’asinello, l’umiltà della gente convenuta ad adorarlo. Il solo albero con appesi i desideri di ciascuno, sotto forma di palline colorate, non basta: C’è un deficit di identificazione. Senza offesa per nessuno, è la scala dei valori e delle sensibilità ch’è diversa. E poi, le dolci armonie dei Canti natalizi (Silent Night – Notte magica, White Christmas – Bianco Natale, Tu scendi dalle stelle – La pastorella) vanno intonate dinnanzi al Presepio: davanti all’albero non funzionano. Soltanto nella grotta e nel Presepio si trova il richiamo alla Pace, all’armonia, alla fratellanza. Il Presepio non è soltanto una allegoria cristiana.
Nell’arte, due sono le icone più rappresentate: la Natività (per esempio, Ghirlandaio, Giorgione, Botticelli, Caravaggio, Giotto, Filippo Lippi) e l’Adorazione dei Magi (per esempio, Andrea Mantegna, Gentile da Fabriano, Leonardo, Masaccio). Quindi, Simone Martini, Lorenzo Maitani, Jacopo della Quercia, Luca della Robbia; una infinità di altri artisti, nei secoli, hanno dipinto e scolpito uno dei più consacrati eventi della storia: il “profondo stupore” della Notte di Natale. In latino, il termine mangiatoia si traduce praesaepe. Ed è da quella mangiatoia che si leva un grido di speranza per una nuova umanità, salva dalle soverchierie e dai soprusi.
Degne di una citazione particolare le opere di Pietro Vannucci, il Perugino, da lui dedicate alla Nascita del Messia. Nella Galleria Nazionale dell’Umbria si ammira una splendida Adorazione dei Magi, un’altra a Città della Pieve e una terza a Trevi nel Santuario della Madonna delle lacrime. Importante la Natività compresa nell’affresco dipinto dal Perugino nella Chiesa di S. Francesco a Montefalco.
Tra i miei ormai remoti ricordi di fanciullo, c’è il piccolo camino nella sala da pranzo che mai conobbe carbone ardente. Veniva usato, soltanto una volta l’anno, per ospitare il Presepio casalingo. Semplice e sempre presente nella devozione familiare: lo specchio rotto a fare da laghetto, il muschio divelto nel bosco, il pecoraio con l’agnello a tracolla, insieme al panettiere, il calzolaio, l’arrotino e le casette sui colli di cartone. E, per l’Epifania, arrivavano, a dorso di cammello, dal lontano Oriente, i Re Magi. Venite, adoremus! Di questi semplici Presepi si riempiva, all’epoca, il costume d’ogni borgo.
A mio parere, dal punto di vista naturalistico, la “strage di abeti” compiuta per allestire gli alberi di Natale, costituisce un vilipendio che contrasta con la tutela dell’ambiente. L’abete colorato come “albero della vita” non è adeguato a rendere il significato della grande festività. Nell’epoca moderna – vivente ancora la generazione che ha attraversato la seconda guerra mondiale – la riflessione dinnanzi al Presepio è sollecitazione al ritorno verso un mondo che sancisca il privilegio della vita sulla violenza. Potrebbe anche indicare agli uomini di buona volontà la giusta direzione del cammino per passare dalle tenebre materiali alla luce dello spirito.
Mi torna in mente la poesia di Trilussa che dice: La vecchiarella cieca che incontrai la notte che me persi in mezzo ar bosco, me disse: Se la strada nun la sai te ciaccompagno io che la conosco. Se ciai la forza de venimme appresso, de tanto in tanto, te darò una voce fino là in fondo dove c’è un cipresso, fino là in cima dove c’è la Croce. Je risposi: Sarà, ma trovo strano che me possa guidà chi nun ce vede. La cieca allora me pijò la mano e sospirò: Cammina! Era la Fede.