Un miliardo di euro per giocare e vivere in Arabia Saudita
di Adriano Marinensi
Ora è ufficiale: Il pallone (d’oro) Cristiano Ronaldo giocherà prossimamente in Arabia Saudita. Per i colori della AL NASSR F. C., partecipante ad un campionato che non viene trasmesso manco in T.V., perché non interessa quasi a nessuno e nessuno ha comprato i diritti televisivi. E’ come se un tenore, abituato a palcoscenici tipo il Metropolitan Opera House di New York, finisse nel teatrino di Roccasecca. Dal punto di vista della fanfaronaggine pallonara, povero CR 7.
Però, guardando la vicenda dal punto di vista del gioco della briscola, l’aver preso in mano l’asso e il tre di denari, gli offre un sontuoso premio di consolazione. Sentite qua: 500 milioni di euro (in petrol dollari), per un paio d’anni ancora da giocatore e poi altri 500 come promotore di immagine e di affari del paese del bengodi per i ricchi sfondati (soltanto). Più, una villa da sceicco, riservata a lui e famiglia ed altre minori per accogliere degnamente parenti ed amici. A proposito, chi fosse interessato a curare il giardino di casa Ronaldo può presentare domanda di assunzione: Vitto e alloggio gratis, più una paga da 6.000 euro netti al mese. Quanto un direttore di banca in Italia. Capito mi hai?
Scomposto, in termini di curiosità, il malloppone, si declina nel modo seguente: grossomodo 16 milioni al mese (per gli anziani di casa nostra, si traduce in 31 miliardi di lire del vecchio conio), un lussuoso salario al quale vanno sommati vari ed eventuali ammennicoli. Quindi, 386 euro al minuto, 23.000 ogni ora, 500 mila al giorno. E se non ti sbrighi a spenderli oggi, te ne ritrovi il doppio domani. Il pallone (d’oro) Ronaldo dovrebbe aver pensato piatto ricco, mi ci ficco!
L’Arabia Saudita è il maggior Paese della Penisola a prevalente territorio spopolato e pochi centri abitati. Ospita infatti il deserto di sabbia considerato il più grande del Pianeta. In compenso è il secondo Stato – dopo il Venezuela – per riserve di petrolio. Ha una popolazione di circa 36 milioni di abitanti, dei quali 7 e mezzo risiedono a Riyad, la capitale, dove giocherà sudando – ci sono temperature sahariane ed umidità da record meteorologico – CR7 nella squadra dell’ AL NASSR, in uno stadio più piccolo di quello della Ternana (soltanto 25 mila spettatori) e senza alcuna copertura mediatica che abbia una eco quantomeno africana.
Dunque, per il pallone (d’oro) Ronaldo, all’improvviso, tutto su scala ridotta e di minuscolo effetto vanaglorioso. Tranne il diluvio finanziario (cun villa) destinato a narcotizzare il dolore del primo impatto. Per chi è abituato a misurare la dimensione della vita con il metro del dio quattrino, la consolazione arriverà presto. Pare lui abbia (ridicolmente) affermato: “Sono ansioso di giocare in un campionato diverso. La visione dell’AL NASSR (la sua nuova squadra, mi affascina.” I suoi nuovi padroni lo hanno salutato così: “Benvenuto nella tua nuova squadra. La tua venuta (da redentore! altra n.d.a.) ispirerà le generazioni future, ragazzi e ragazze, ad essere la migliore versione di sé stessi”. In un regno, quello saudita, dove vengono abilmente nascoste le condizioni di povertà di gran parte dei sudditi, si può ben dire il record dell’ipocrisia.
Per quanto riguarda lo sport del calcio e i suoi reali valori, mi pare di poter scrivere che, con la ultima vicenda Ronaldo, siamo giunti in fondo alle scale della tolleranza. Stiamo uscendo definitivamente e senza ritorno dallo spirito olimpico, per finire tra le macerie delle degenerazioni: Il calcio come drammatica caricatura di sé stesso. Che però insulta le miserie ancora largamente presenti nel mondo. Si impone con urgenza una riflessione di ordine etico e pratico che ripristini il significato popolare delle passioni che esaltano un settore ormai uscito dagli argini. Anche a causa dei molti mammasantissima che imperversano e si segnalano come individui privi di morale e persino di decenza.
Antonio Pallante: Chi era costui?
Ecco una notizia apparsa piccola, piccola, tra quelle scritte a caratteri grandi sulla stampa: E’ morto Antonio Pallante. Di sicuro, in tanti, si saranno chiesti Chi era costui? Eppure è stato un personaggio che – settantaquattro ani fa – ha rischiato di far deragliare la storia d’Italia. Eravamo nel 1948 e l’acerrimo confronto tra le forze politiche aveva appena cessato di infuocare gli animi e i rancori. Il 18 aprile, le elezioni nazionali: La Democrazia Cristiana versus il Fronte Popolare (PCI + PSI), i credenti contro gli “infedeli”. Le macerie morali e materiali della guerra sullo sfondo.

Un anno ricco di eventi il ’48. Innanzitutto l’entrata in vigore (1 gennaio) della Carta costituzionale, l’atto giuridico che ha dato avvio alla nuova Italia democratica. Le donne che votarono, la prima volta, in una consultazione nazionale; l’elezione di Luigi Einaudi, il nostro primo Presidente della Repubblica (11 maggio), al posto di Enrico De Nicola, in precedenza eletto Capo provvisorio dello Stato dall’Assemblea Costituente.
Ed eccoci al 14 luglio 1948 e ad Antonio Pallante, classe 1923, studente universitario partito dalla Sicilia per Roma. Sta dinnanzi a Montecitorio con in tasca una pistola. Dall’Aula parlamentare escono Palmiro Togliatti, il potente Segretario del Partito comunista e la sua compagna Nilde Iotti. Pallante si avvicina alla coppia e spara tre rivoltellare addosso al “Migliore”, ferendolo gravemente. L’attentato porta il Paese sull’orlo della guerra civile. Lo stesso Togliatti richiama alla ragione i militanti del suo partito, già pronti al grido di all’armi, all’armi.
Nasce allora la legenda metropolitana – che pare sia in gran parte vera – di Alcide De Gasperi, Capo del Governo, che telefona a Gino Bartali, impegnato nel Giro ciclistico di Francia. Occorre distrarre l’opinione pubblica dal grave fatto di sangue con una grande impresa sportiva. Gino, detto il Pio, deve vincere il Tour. Lui è forte, ma è molto indietro in classifica. Si tratta di salvare la Patria e quindi comincia a pedalare più in fretta degli altri su per le arcigne montagne di Francia. E’ uno scalatore provetto e scala anche la graduatoria, fino al primo posto ed alla vittoria finale a Parigi.
Antonio Pallante si prese una condanna poco severa e, fruendo di condoni e buona condotta, rimase in prigione soltanto 5 anni e 3 mesi. Ci fu addirittura chi suggerì scherzosamente di fargli trascorrere qualche periodo di addestramento al tiro a segno. Tornò in libertà nel 1953. Nel corso di una intervista successiva, dichiarò di aver agito “per salvare il Paese dal pericolo comunista. Non ho agito contro un uomo, ma in difesa del mio ideale”. Invece, divenne, con quel gesto dissennato, l’attentatore delle ritrovate libertà.