I due Enzo, Carra e Tortora: Era il tempo delle manette facili
di AMAR
La stirpe di ciascuno di noi, solitamente ancorata al cognome che portiamo, ha origini lontane, lontane, derivate da qualche episodio particolare oppure affidate alla ventura. Immagino la mia cognomatura all’esordio remoto. Per quell’atavico bambino – era il quintisavolo del trisavolo – il nome di battesimo lo trovarono subito: per esempio, Mario. Da Mar … io non fu difficile la declinazione in Mar … inensi. Probabilmente andò così e senza neppure troppo sforzo di fantasia.
I colori, i fiori, i Santi all’anagrafe. E gli “scherzi da prete”
Ci sono poi epiteti facili, derivati dai colori: Rossi, Verdi, Bianchi. Oppure dai fiori: Garofoli, Rosetti, Giorgini, Cameli. Oppure dai Santi: Paolini, Petrini. Franceschini; o ancora del tipo “scherzo da prete” ed anche “ruota del convento” come Laudadio, Corpodicristo, Santacroce, Diociaiuti, Cantalamessa. Per non parlare di nomi e cognomi assurdi: Remo La Barca, Bianca Farina, Felice Natale, Santa Pazienza e simili.
Uno, quantomeno singolare, se lo portava appresso l’ottimo impiegato di un ufficio, situato sopra a quello dove lavoravo io, qualche decina di anni fa. Ho scritto se lo portava appresso quella persona – a sentire i colleghi suoi, molto dabbene – perché, si chiamava Mezzasalma. Sicuramente imbarazzante, per lui, il modo di presentarsi: Piacere e appresso il proprio appellativo dinastico. Al telefono: Pronto, sono … Beh, ditemi voi. Anche l’antico addetto all’anagrafe, sarà rimasto attonito di fronte al nunzio di tale primo imprimatur: Mezzasalma.
L’origine, un mistero a volte nascosto tra i meandri del destino
Io ci ho pensato un po’ a come saranno andate le cose. E ho dedotto la seguente ipotesi: l’antenato tantissimo remoto di lui fu deposto in fasce dinnanzi al portone d’un Converto di Suore. Nei film alla lacrima d’una volta, si vedeva la persona che furtivamente, nella penombra, lasciava il fagotto e, suonata la squillante campanella legata al cordone, scappava veloce.
L’ho immaginato, il fagotto, raccolto dalle solerti religiose con materna premura. Affollate intorno a quella innocente creatura, privata, forse per miseria o per “sconvenienza”, dei supremi affetti. Ovvero, forse perché frutto d’illecito amore. Accadeva, in epoca di arcaici costumi, che la tresca dei sensi tra il padrone, magari di nobile lignaggio, e la giovane servetta, finisse per mettere al mondo il frutto dell’indebito amplesso. Capitava che, per evitare lo scandalo, la fanciulla venisse affidata segretamente al silenzio monastico, insieme al nascituro.
Il destino nel nome e nell’agape delle Monache
Comunque, nel caso in ipotesi, rifocillato e rianimato, al trovatello si dovette dare un nome (qualunque). Pure un cognome. Per dignità civile e pio afflato di fede. Allora, nella mia immaginazione, eccole le monachine riunite in agape e affaccendate a trattare l’argomento nome e cognome del fantolino. Numerose saranno state le benevole proposte ritenute non decenti alla bisogna. Poi ecco la suorina, quella quasi nana, sempre presente in ogni badia, che sgambetta sollecita per il chiostro, la quale, con la vocina in falsetto, avanza la quasi logica soluzione.
Argomenta: Poiché, l’abbiamo trovato in stato di abbandono, denutrito, malmesso, fuori all’addiaccio, il cognome è venuto seco. Mezzo morto era, quindi chiamiamolo Mezzasalma. Mi è rimbombata, a tal punto, l’eco della gaudiosa approvazione dell’intero cenobio muliebre. Sia il neonato, sia le premurose sorelle, mi hanno fatto tanta tenerezza. Così, probabilmente, accadde. E, alla fine di questa fiabesca congettura, l’antico esposto visse infelice e scontento.
Pensiero vagante: La linea di passaggio tra le due sponde
Riguarda il confine sottile e imperscrutabile tra l’aldiquà decadente e l’inesplorato aldilà. Tra una domanda e una risposta. Domanda: “Come sta Luigi?” Risposta: “E’ morto”. E, sul murale, compaiono le sue generalità in cornice nera. La vicenda umana di Luigi – sia che fosse persona infima, sia invece inclita – si è conclusa in una battuta. Con sei lettere dell’alfabeto: e – emme – o – erre – ti – o: è morto. Segnano la linea di passaggio tra l’essere vivo e non esserlo più.
Sei lettere soltanto nell’ultimo destino degli esseri umani. Ogni orgoglio, alterigia, ricchezza, potere, tutto annullato dal destino che la natura ha architettato in capo a ciascuno di noi. Allora Alessandro Manzoni: “Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore … E Ugo Foscolo: “All’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto, è forse il sonno della morte men duro?” Diciamo insieme: Sarà così, sarà cosà, chissà come sarà?
Le manette facili di un’epoca sciagurata

Consentitemi di concludere ricordando un “dimenticato” che, giorni fa, è andato all’altro mondo. Si chiamava Enzo Carra, Giornalista, uomo di grande cultura ed equilibrio politico, poi Deputato e portavoce del Segretario D. C. Fu protagonista involontario – durante la famigerata esibizione giustizialista di mani pulite – di un episodio di bassa civiltà. Non lui, quanto invece i responsabili che lo esibirono ammanettato, tra due Carabinieri, in un’aula di Tribunale. Un Tribunale che peraltro lo assolse da ogni artificiosa imputazione.
Ma, all’epoca, il circo tele – giudiziario agiva senza scrupoli e rispetto umano. Nella fattispecie, contro una persona – né mafiosa, né terrorista – imputata di semplici dichiarazioni reticenti al P. M. (Di Pietro). Fu una immagine tremenda di violenza mediatica che richiamò alla mente quella dell’altro Enzo, il garbato presentatore Tortora. Pure lui esposto ai fotografi ed alle telecamere come fosse un criminale d’alta infamia.
Ed era invece un cittadino onesto, assolto, dopo una lunga e tormentata esperienza da carcerato, per non aver commesso alcun reato. Non è inutile ribadire che il calvario di tal genere, in uno stato di diritto, è una intollerabile vergogna. Anche per sottolineare che, in entrambi i casi, gli innocenti hanno fatto la galera e i P M hanno fatto la carriera. Quasi fossimo in quel giochino delle carte dove c’è chi paga e chi piglia.