Lo uccise il suo luogotenente e cugino Gaspare Pisciotta
Durante il secolo passato, la Sicilia – suo malgrado – ha “partorito” due mostri: Un feroce bandito (Salvatore Giuliano) e un crudele mafioso (Totò Riina). Per raccontare la storia del primo, fingiamo che oggi sia il 5 luglio 1950. Alba afosa di una giornata canicolare in terra di Sicilia, dalle parti di Castelvetrano (Castedduvitranu, nella lingua locale), in territorio di Trapani. Nel cortile di un cascinale, appartenente ad un tale avvocato Gregorio Di Maria, il mattino, alla buonora, è stato rinvenuto un cadavere. Lo hanno sparato ed è riverso a terra, adagiato su un fianco, vestito in canottiera, una sacca da un lato, il fucile mitragliatore dall’altro.
Lì per lì, nessuna grande sorpresa: in quei tempi e in quei luoghi, non era raro trovare in giro morti ammazzati. Quando però se ne conobbe l’identità, il cortile fu riempito da Magistrati, Militari con la greca, Forze dell’ordine, giornalisti, fotografi e cineoperatori. Il morto, in vita, si chiamava Salvatore Giuliano, detto Turiddu, nato a Montelepre, nel 1922, pochi giorni dopo la “marcia” di Mussolini, a Roma
Ricercato ossessivamente, insieme alla sua banda, per tanti anni, quella notte era stato sorpreso – guarda a volte il caso – da solo, in quella casa. Al Comando giunse un marconigramma. Diceva: “Colonnello Luca segnala che ore 3,30, oggi, dopo inseguimento et conflitto a fuoco sostenuto da squadriglia C.F.R.B., rimaneva ucciso bandito Salvatore Giuliano. Nessuna perdita parte nostra”.
Il dispaccio proveniva dall’alto ufficiale Ugo Luca, Comandante del Corpo Forze Repressione Banditismo. Un canestro di menzogne. Nessuna perdita parte nostra: E ti credo, non c’era stato nessun inseguimento e nessun conflitto a fuoco. Il bandito ne aveva fatte di cotte e di crude, di brutali e di infami, come “strumento” politico e come fuorilegge. Poi qualcuno aveva detto basta.
Quel cadavere eccellente era stato anche l’autore della famosa strage di Portella della Ginestra, una località nei pressi di Palermo, dove operai e contadini di Piana degli Albanesi stavano festeggiando il Primo Maggio del 1947. La festa dei lavoratori che il regime fascista aveva spostato al 21 aprile, l’ipotetico “Natale di Roma”. Giuliano e i suoi spararono all’impazzata sulla folla, causando 14 morti e 24 feriti, compresi alcuni bambini di 8, 12 e 14 anni. Pare fossero esplosi circa 800 colpi con almeno 7 armi diverse, tra le quali una mitragliatrice. La manifestazione pure per festeggiare la vittoria del Fronte popolare (PCI + PSI) alle elezioni regionali e contro il latifondo che in Sicilia sapeva di mafia.
Una sentenza passata in giudicato affermò che l’”operazione Portella” venne organizzata a seguito di una lettera consegnata 4 giorni prima a Giuliano che la lesse e subito distrusse. Dietro le quinte, oltre all’odio del bandito per i comunisti, le forze reazionarie e la mafia che non aveva alcuna intenzione di perdere il proprio potere a seguito della nuova situazione politico – istituzionale del dopoguerra.
La “professione criminale” del Re di Montelepre era cominciata nel settembre del 1943, quando aveva 21 anni. Lo fermarono ad un posto di blocco ed aveva appresso due sacchi di grano provenienti dal mercato nero. Un reato grave allora. Lui si tolse d’impaccio uccidendo a revolverate un Carabiniere e ferendo un Appuntato. Quindi, di corsa alla macchia, dove rimase per sette lunghi anni, braccato giorno e notte. Gli lanciarono addosso oltre mille Agenti, però rimase sempre libero di muoversi e di agire. Persino, in latitanza, la presenza al matrimonio della sorella Marianna con Pasquale Sciortino, malavitoso tal quale a Giuliano.
La svolta di vita quando decise di formare una banda ai suoi ordini, per dedicarsi a rapine e sequestri di persone facoltose. Una specie di Robin Hood che rubava ai ricchi, però i quattrini non li dava ai poveri. Operava al suo fianco il cugino Gaspare Pisciotta, altro brigante senza scrupoli. Principali nemici i Carabinieri e i confidenti della Polizia. Alla fine della fiera, gli furono attribuiti, forse esagerando, oltre 400 omicidi. Insomma, l’uomo dal grilletto facile non ne aveva perdonata una.
Giuliano ebbe un ruolo anche nel Movimento per l’indipendenza della Sicilia e nell’EVIS, l’esercito separatista. Si tratta del movimento guidato da un leader dal nome singolare: Andrea Finocchiaro Aprile. Quasi, quasi, se avessero potuto, quelli di Sicilia indipendente, avrebbero staccato l’Isola dalla sua base e allontanata dal Continente. Un ritorno al Regno delle Due Sicilie, però con una Sicilia sola. Non se ne fece nulla, ma fu alimentata la tensione popolare con il resto del Paese-
Le imprese di Giuliano lo fecero diventare un personaggio scomodo per molti e arrivò per lui la resa dei conti. Alle dichiarazioni ufficiali, diffuse all’indomani del 5 luglio ’50, relative alle circostanze della sua uccisione, credettero in pochi. Il settimanale L’Europeo pubblicò un articolo dal titolo emblematico: Di sicuro c’è solo che è morto. E, in sequenza, un servizio di inchiesta che indicò Gaspare Pisciotta come l’assassino. La conferma venne dallo stesso Pisciotta durante il processo per l’eccidio di Portella, celebrato a Viterbo. Raccontò anche che nel cortile del casolare a Castelvetrano, c’era stata una messa in scena da parte dei Carabinieri, con il cadavere grottescamente “manipolato”.
Pisciotta si prese l’ergastolo. La mattina del 9 febbraio 1954, nel carcere dell’Ucciardone, dov’era recluso, gli offrirono un caffè corretto alla stricnina e ci rimase secco. Fu così che, messi a tacere entrambi i depositari di mille segreti scabrosi, in tanti, immischiati nella vicenda Giuliano, vissero tranquilli e contenti. Non è certo la fine di una favola, ma la chiusura di una narrazione che mise in luce la condizione sociale della Sicilia nel dopoguerra, ancora incentrata sul “vassallaggio” tra proprietari della terra e contadini. Oltre ad una organizzazione civile e culturale di retroguardia.