Le opere e gli autori italiani famosi nel mondo
di AMAR
L’Italia del pallone (lungi da me il chiamarla pallonara), quella dei calciatori paperoni, beneficiaria di sontuose prebende, attorno alla quale ruota un’alluvione di interessi e di procuratori con il panfilo etc., etc.; quella Italia lì è stata eliminata dai prossimo Campionato del mondo. Lutto nazionale!. Le cronache hanno detto che la squadra azzurra è parsa alla frutta e, destino crudele, eliminata dalla Macedonia, non di frutta, ma del Nord. La conseguenza, a mio avviso più dolorosa, sarà che non potremo ascoltare, in Qatar, l’ ardimentoso Inno Nazionale. Scritto e messo in note, il Canto degli italiani, da Mameli e Novaro, fa parte integrante della storia popolare. L’Inno ebbe prima gloria quando si fece l’Unità d’Italia: “Siam pronti alla morte, Italia chiamo”. E Mameli cadde, a 20 anni, sul Gianicolo, nella difesa della Repubblica romana di Mazzini, Saffi e Armellini.
E’ dei tempi recenti una interessante notizia: La Commissione italiana dell’ l’UNESCO (vuol dere Organizzazione dell’ONU per l’Educazione, la Scienza, la Cultura e la Pace) ha deciso di presentare ufficialmente la candidatura dell’Opera lirica ad entrare nella lista del Patrimonio immateriale dell’Umanità. E’ il riconoscimento solenne del bagaglio di arte e tradizione, costruito dai nostri illustri compositori del bel canto. E dagli interpreti straordinari che vanno da Enrico Caruso a Maria Callas, a Luciano Pavarotti, l’ultimo tenore – monumento.
C’è chi ha tentato di redigere una top – five degli autori italiani e dei loro capolavori di maggiore ascolto e popolarità. E’ risultata così: Giuseppe Verdi 4 opere (Aida, Traviata, Nabucco e Rigoletto), Giacomo Puccini 3 (Tosca, Boheme, Madame Butterfly), Gioacchino Rossini 1 (Il barbiere di Siviglia), Vincenzo Bellini 1 (Norma). Pietro Mascagni 1 (Cavalleria rusticana). Vanno aggiunte per Verdi, Il Trovatore, Don Carlos, Ernani, La Forza del destino, Otello, Falstaff, I Vespri siciliani, Un ballo in maschera. Per Puccini, Turandot (con la celebre Nessun dorma), Manon Lescaut, La Fanciulla del West, Gianni Schicchi. Per Rossini, La Gazza ladra, Guglielmo Tell, L’italiana in Algeri. Per Bellini, I Puritani, La Sonnambula. Per Mascagni, L’amico Friz. Ne si possono dimenticare Donizetti autore di Lucia di Lammermoor, Don Pasquale, La favorita, Anna Bolena; ancora Leoncavallo con I Pagliacci; Pergolesi con La serva padrona, Vivaldi e Cimarosa semplicemente citando i più cari ai melomani.
C’è una produzione infinita di canzoni nell’anteguerra, durante il ventennio. Impetuosa era la radio (L’EIAR, nata, in Italia, il 1 gennaio 1925) e la musica di massa, quella “approvata” e l’altra no. Musica allegra, strappalacrime, melodica e sincopata, quando amore faceva rima baciata con cuore. E dentro, un sospiro, una lacrima e una rosa. Per ricordarle occorre andare per esempi. Allora, tra i ritmi gioiosi, ecco Reginella campagnola “all’alba quando spunta il sole”; ed ecco Beniamino Gigli in Se vuoi goder la vita “vieni quaggiù in campagna” e Vittorio De Sica in Parlami d’amore Mariù “tutta la mia vita sei tu”.
Ci sono un babbo e due mamme. Il babbo implora “torna piccina mia, torna che il tuo papà la ninna nanna ancora ti canterà”. Le due mamme, la prima buona, la seconda un po’ meno. Per la prima, la voce di Carlo Buti quasi singhiozza: “Mamma, solo per te la mia canzone vola”; mentre per l’egoista di Balocchi e profumi, la rampogna “alla tua piccolina non compri mai i balocchi, mamma tu compri soltanto profumi per te”. Altre ce ne sono di mamme cantate amorevolmente: quella di Signora fortuna della quale vien detto “ mamma, piccina mia, è la meglio grazia che ci sia, perché di mamma ce n’è solo una”.
Gli stornellatori sospiravano alla Signora di 30 anni fa ”nel 1919, vestita di voile e di chiffon”; alla Signorinella pallida “brindisi coi bicchieri colmi d’acqua al nostro amore povero e innocente”. Oppure, Come pioveva “c’eravamo tanto amati per un anno, forse più” e l’avvincente Canzone dell’amore “solo per te Lucia, va la canzone mia”. L’infelicità s’udiva in Non dimenticar le mie parole “bimba t’amo tanto da morire” e in Abat jour “mentre spandi la luce blu, cerchi forse chi non c’è più”. L’inconfondibile Gigli, interprete acclamato di Non ti scordar di me “la vita mia è legata a te, io t’amo sempre più”. Ancora, il tango strisciato di Scrivimi, “non lasciarmi più in pena, una frase, un rigo appena”, accanto a Violino tzigano “suona solo per me, o violino tzigano”.
A proposito di sensual tango e di trasgressive balere, si danzavano, guancia a guancia (cheek to cheek) Addio tabarin “paradiso di voluttà”, Il Tango delle capinere e quello della gelosia. Oppure (1930) Lucciole vagabonde, l’inno riconosciuto delle passeggiatrici notturne. Nel 1928, gli emigrati italiani in Messico rischiavano la vita sottoterra e allora la coppia celebre Bixio – Cherubini lanciò Miniera con la collaborazione canora, in tempi successivi, di Luciano Tajoli. Grande successo per l’esotica Amapola “la luce dei miei sogni sei tu per me”, un ritmo lento degli anni ’30, immortalato poi nel gangster film C’era una volta in America (1984).
Di nuovo, l’intrigante La strada nel bosco “vieni, c’è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu ?”; la pungente (per via delle spine) Portami tante rose “le stringerò sul cuor come facevo a te”. Insomma, tra pene d’amore, marcette giulive, rimembranze nostalgiche, la prima metà del XX secolo si riempì di armonie, alcune fuggevoli, altre immortali. Persino, a metà del 1940, quando nella Piazza Venezia di Roma, danzarono le streghe, l’Italia canterina proseguì per la sua strada. Attenta alle “Canzoni scanzonate” del Trio Lescano e dei sincopati alla Natalino Otto e Alberto Rabagliati. Rigoglioso il filone degli chansonnier napoletani.
Durante il lungo periodo degli archi di trionfo, sfolgorarono gli inni traboccanti di amor patrio e di ardimento. Fu la colonna sonora di un’epoca stonata (ne ho già scritto). La radio e il cinema fecero, per l’indottrinamento degli italiani, quello che oggi fa, a dismisura e subdolamente, la televisione per i prodotti commerciali, cioè pubblicità e propaganda. Che talvolta sembra circonvenzione d’incapace. All’epoca, dalle mie parti, si canticchiava insieme alla sirena d’allarme: una canzone e una bomba, un film ed una incursione aerea. Il “maliardo” aveva affascinato quasi l’intero popolo italiano che si risvegliò dall’incanto, dopo aver pagato un altissimo prezzo. Allora, ci fu poco da cantare e molto da ricostruire.