L’efferato delitto che sconvolse l’Italia all’inizio del XXI secolo
di Adriano Marinensi
Novi Ligure è una cittadina piemontese, in provincia di Alessandria. Tranquilla e operosa, quindi inadatta per fare da scena del crimine in una spaventosa tragedia familiare. E’ la sera del 21 febbraio 2001. Susanna Cassini, della Susy, 42 anni e il figlio Gianluca De Nardo, 11 anni, stanno rientrando a casa. Li aspettano 40 coltellate per lei e 57 per il bambino. L’accusa al processo sosterrà che il coltello era pronto ad uccidere anche Francesco De Nardo, 46 anni, ingegnere, marito di Susy e padre di Gianluca. Sulla strada, dinnanzi all’abitazione, c’è l’altra figlia dei De Nardo, Erika, 16 anni, che urla chiedendo aiuto. I vicini chiamano i Carabinieri ai quali si presenta uno spettacolo orrendo: sangue dappertutto, un morto in cucina ed un altro nella vasca da bagno.
La falsa pista degli albanesi
Racconta Erika: “Due albanesi sono penetrati in casa per compiere una rapina, poi la loro furia si è scatenata ed hanno ucciso mia madre e mio fratello”. In caserma, disegna anche l’identikit assai somigliante ad un giovane albanese del luogo, subito arrestato per fargli fare la parte del mostro. Però il sospettato ha un alibi di ferro e perciò si ricomincia daccapo. E daccapo ecco sorgere i primi dubbi proprio sulla ragazza in quanto il resto della sua narrazione non combacia affatto con i rilievi del RIS dei Carabinieri. Erika è una ragazza vivace, dal comportamento un po’ sopra le righe che spesso ha causato forti rimostranze da parte di sua madre: cattivi risultati a scuola ed un fidanzato, Mauro Favaro, 17 anni, Omar per gli amici, poco affidabile. Tra i due c’è un rapporto amoroso assillante e dominato dalla ragazza.
Erika e Omar vengono convocati in caserma come persone informate dei fatti. Li lasciano per qualche tempo soli in una stanza piena zeppa di “cimici”; i Carabinieri all’ascolto rimangono stupefatti per ciò che si dicono. La ragazza che tenta di rassicurare il fidanzato: “Non andrai in prigione. Mi credono e sono la sola testimone”. In sostanza, una quasi confessione, condita addirittura da battibecchi in riferimento al delitto. Vengono tratti in arresto e subito quelli che l’opinione pubblica e la stampa avevano definito “poveri ragazzi”, vittime trasversali della vicenda, diventano “spietati assassini”. La verità scritta a verbale è questa: Erika odia i suoi genitori per via dei continui rimproveri e per gli ostacoli frapposti tra lei e Omar. Progetta quindi di eliminarli e organizza il disegno omicida.
Nella deposizione resa agli inquirenti, il ragazzo dice: “Nel pomeriggio, siamo andati al bar ed Erika mi ha convinto che quella era la sera giusta e il suo piano perfetto.” Poi, in casa, Omar si nasconde ed Erika attende Susy in cucina. Gianluca entra insieme alla madre e sale al piano superiore: viene dalla palestra e deve fare il bagno. Tra madre e figlia scoppia l’ennesima lite e la ragazza comincia a colpirla con un coltello della cucina. Omar corre in aiuto e accoltella Susy pure lui. Gianluca, attratto dal trambusto, scende in basso, diventando, suo malgrado, un testimone scomodo da eliminare. Il ragazzo cerca scampo fuggendo su per le scale, ma nulla può contro la furia della sorella. E così finisce, mezzo annegato nella vasca, poi ammazzato a pugnalate.
Il mancato omicidio del padre
Erika ora vuole attendere il ritorno del padre per uccidere ancora. Omar si rende conto della mostruosità dell’atto compiuto, monta sul motorino e abbandona Erika, la quale da inizio alla commedia delle urla in strada, dei banditi albanesi e della tentata rapina finita in tragedia. Versione che, sin dall’inizio, non si regge in piedi, però trova credito tra gli organi di informazione. Oltre ai rilievi tecnici, manca qualsiasi segno di effrazione a porte e finestre e nessun oggetto di valore risulta sottratto. Incomprensibile il movente del massacro. Definito poi al processo, “concepito con ideazione lucida e realizzato in piena capacità di intendere e di volere”.
La immediata svolta alle indagini è data da un testimone che dice di aver visto Omar allontanarsi da casa De Nardo con gli abiti macchiati di sangue. Quindi l’ascolto dei dialoghi dei due ragazzi in caserma e infine le confessioni con tanto di scaricabarile delle responsabilità. La loro passione morbosa svanisce all’istante, lei resta fredda (la chiameranno “il ghiaccio”), lui fragile e palesemente sconvolto. Secondo le perizie psichiatriche, Erika soffre di “disturbo narcisistico della personalità”; mentre Omar di “personalità dipendente”. Che dimostra quando sostiene “sono sicuro lei mi abbia usato per il suo scopo.” Scrive il criminologo: “All’insaputa di tutti, sperimentavano l’uso di droghe ed una sessualità violenta.”
Erika, anche durante la detenzione, riuscirà a trasfondere il fascino maniacale oltre le sbarre, trovando persino un fidanzato, diventato il solito personaggio ad uso e consumo di certa TV del pettegolezzo e di rotocalchi a tinte forti, che fanno del terribile fatto di cronaca nera, la solita giaculatoria di sceneggiate e scoop giornalistici, ad alto impatto emotivo. Più tardi, una “finestra” di rinomanza la troverà la compagna di cella di Erika con le sue rivelazioni (più o meno fasulle), rese durante la trasmissione “Pomeriggio Cinque”. Una nota patetica, la fornisce Francesco De Nardo che abbraccia la figlia all’entrata del carcere e le dice: “Mi sei rimasta solo tu!”
Le condanne e le scarcerazioni
Il processo di primo grado è un’altra occasione di affollato interesse. Il collegio di difesa tenta di far passare la seminfermità degli imputati, mentre i periti del Tribunale sostengono la piena capacità di intendere e di volere. Alla sbarra ci sono però due adolescenti e seppure il reato sia gravissimo, occorre tener presente il dettato dell’art. 27 della Costituzione che stabilisce “le pene devono tendere alla riabilitazione del condannato”. Forse in base a questo principio umanitario, per Erika De Nardo ci sono in sentenza 16 anni di reclusione e 14 per Mauro Favaro (Omar). Sentenza confermata sia in Appello, sia in Cassazione (9 aprile 2013).
Omar è stato scarcerato nel marzo 2010, avendo beneficiato dell’indulto e di alcuni sconti per buona condotta. Ha trovato lavoro e vive con una compagna. Erika è uscita di prigione a dicembre 2011, laureata in filosofia. Si è sposata con un musicista conosciuto al tempo della detenzione. Nella storia della criminalità, i fatti di Novi Ligure continueranno ad occupare una pagina difficile da ingiallire. Anche se l’ età dei protagonisti potrebbe giustificare il perdono civile.