Ci sono episodi, nella storia moderna, sopra i quali il nume della tragedia ha scritto la parola remembar
di Adriano Marinensi
Ci sono episodi, nella storia moderna, sopra i quali il nume della tragedia ha scritto la parola remembar. Nella grande corsa alla conquista delle stelle, due sono i mesi fatali: gennaio e febbraio. L’astronautica americana, in anni diversi, ha subito disastri che hanno segnato, con il colore del lutto, la strada del progresso scientifico nell’era spaziale: 18 gennaio 1986 e 1° febbraio 2003. Alla competizione politica USA – URSS, durante la cosiddetta guerra fredda, si aggiunse la corsa al primato nell’ascesa oltre l’atmosfera terrestre.
Il primo a volare alto, fu il russo Jurij Gagarin, il 12 aprile 1961, a bordo della navetta Vostok 1. Impresa scatenante, perché mise a confronto i programmi spaziali sovietico e americano, catturando l’attenzione del mondo. In America crearono la NASA (National Aeronautics and Space Administration) e J. F. Kennedy (Presidente dal 1961 al 63, quando lo uccisero a Dallas) disse: Abbiamo deciso di andare sulla luna … perché accettiamo di buon grado questa sfida e siamo determinati a vincerla. E la vinsero, il 20 luglio 1969, quando l’astronauta Neil Armstrong scese, con il piede incerto, dalla scaletta dell’Apollo 11 allunato e pronunziò la celebre frase: Questo è il piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità.
Non ebbero uguale fortuna i suoi colleghi a bordo dello Space Shuttle Challanger, decollato da Cape Canaveral, in Florida, il 28 gennaio 1986. Sei uomini e una donna, Christa McAuliffe che avrebbe dovuto trasmettere la prima lezione di scienze dallo spazio a milioni di studenti in grande attesa dell’inusitato evento. Il solito conto alla rovescia: Dieci, nove, otto … Passarono soltanto 73 secondi dal via, quando la navetta esplose, disintegrandosi. Un serbatoio pieno di ossigeno e idrogeno liquido aveva preso fuoco.
La capsula, contenente l’equipaggio, andò a schiantarsi nell’Oceano, quasi tre minuti dopo l’esplosione. Dalle indagini, l’ipotesi che le sette persone fossero in vita prima dell’impatto con l’acqua, quando tutto venne distrutto. Ci fu chi definì l’incidente “il prezzo da pagare per essere pionieri”. Forse, quel giorno infausto di gennaio era cerchiato in rosso tra i segni dell’astrologia oppure la pesante vendetta delle stelle contro la scienza che aveva, negli anni, ripetutamente violato i confini dell’atmosfera terrestre.
Il “castigo” non fu soltanto quello. Il 1° febbraio 2003, un’altra navetta, con altri sette cosmonauti a bordo, esplose nel cielo del Texas, durante la fase di rientro. Toccò al Presidente USA George W. Bush dare l’annuncio: “E’ stato perso il Columbia. Non ci sono sopravvissuti”. E aggiunse: “La causa, per la quale sono morti, continuerà”. Durante il lancio ci fu un impatto di lieve effetto esterno con dei detriti caduti dal serbatoio. Quando ebbe inizio la manovra di rientro, la situazione monitorata apparve normale. Accesi regolarmente i razzi frenanti per l’uscita dall’orbita, il Columbia passò indenne dallo spazio all’atmosfera (Entry Interface) ad una quota di 130 km.

Il previsto aumento della temperatura e lo stress termico subiti dalla navicella considerato nei parametri. Quindi, tutto OK, per la NASA. L’ultima comunicazione tra navetta e centrale di controllo a terra, risultò illeggibile. Un attimo dopo, d’improvviso, sopra il Texas, a circa 60 km d’altezza, l’esplosione. Il Columbia s’era disintegrato ed e suoi detriti furono ritrovati in un’area di decine di km quadrati. Per il “ritorno al volo” ci vollero quasi tre anni.
Come nel disastro del Challanger, i telespettatori restarono impietriti di fronte alla catastrofe, segnalata sugli schermi con un bagliore lontano. Gli USA erano ancora scossi dall’attentato alle Torri gemelle (World Trade Center – New York) dell’11 settembre 2001, costato quasi 3.000 morti e 6.400 feriti. Per gli astronauti caduti in missione spaziale, molte le testimonianze del cordoglio nazionale. Sette asteroidi, scoperti alcuni mesi prima, furono chiamati con i loro nomi, ad imperitura memoria. Ce ne sono altri 4 di “esploratori” perduti in volo e 14 deceduti durante operazioni di collaudo. Compresi i tre – ancora nel mese di gennaio (1967) – morti, dentro la cabina di pilotaggio, causa un incidente elettrico che diffuse ossigeno puro.
Rimangono tutti nella storia dell’astronautica, immolati nella conquista di nuovi mondi e nella sfrenata rincorsa alle seduzioni di una scienza che pare ancora capace di raggiungere traguardi posti oltre i confini delle capacità umane. A qualsiasi costo. Pure con l’impiego di risorse quasi incalcolabili, di sicuro mirabolanti, ma non meravigliose.
Ora dalle stelle scendiamo verso la realtà quotidiana di una città di provincia: Terni. Non abbia fatto il rumore dovuto (speriamo nei prossimi giorni) la presa di posizione del Consigliere comunale Paolo Cicchini, il quale si è autosospeso dal suo partito, la Lega. Un rappresentante dello stesso “colore” del Sindaco ha levato gli scudi con una contestazione sonora. L’Ente locale – mi è parso di capire – non ha saputo esprimere una politica culturale capace di contribuire alla elevazione della coscienza civica dei cittadini. La promozione culturale considerata la base del processo democratico. Per chi ha responsabilità di governo, una grossa lacuna.
La considerazione mostra di avere un rilevante peso nel giudizio complessivo rivolto al “percorso nuovo” che ormai va avanti da tre anni e non brilla sul piano dei risultati. E fa pensare ad un richiamo fatto a nuora (la cultura) perché suocera (la dirigenza della Lega) intenda. I limiti di questa Amministrazione sono palesi. Manca l’autorevolezza, l’attitudine alla programmazione e, ancor più, la capacità di “cantierizzazione” (come si dice in politichese) dei problemi che sono diventati molteplici e frenano la crescita della collettività. Appare carente la fabbrica delle idee. Sostiene Cicchini , “senza una visione del futuro non si governa … e la cultura è il futuro”.
Il confronto risulta depotenziato dal mancato coinvolgimento dei soggetti sociali e soprattutto dei giovani (per i quali l’offerta principe è rimasta la movida). Insomma, questo sasso gettato nello stagno dovrebbe innescare una riflessione di ampio profilo politico, sulla attuale condizione urbana di Terni, senza infingimenti e coperture di comodo. E’ comunque da ritenere che la rampogna del Consigliere leghista Cicchini, visto il pulpito serio dal quale è venuta, sia da considerare severa.