Fu una tragedia che commosse l’Italia 43 anni fa
di Adriano Marinensi
Accadde di venerdì, il giorno di certo più adatto per una tragedia. La tragedia di Alfredo Rampi, sei anni, detto Alfredino perché mingherlino di corporatura. Vive con la famiglia dalle parti di Vermicino, una frazione di poche dimore, compresa tra i Comuni di Roma e Frascati. Il padre, Ferdinando Rampi, impiegato, nel tempo libero, coltiva un pezzo di terra non poco distante dall’abitazione. Quel 10 giugno 1981, come altri pomeriggi, genitore e figlio sono sul piccolo terreno. Siamo quasi al tramonto e Alfredino chiede di tornare a casa da solo. E’un bambino giudizioso e quindi viene accontentato.
Lungo il breve percorso attraversa un campo dove il proprietario, per cercare l’acqua, ha fatto scavare un pozzo artesiano: diametro una trentina di centimetri e 80 metri di profondità. L’imboccatura è ricoperta con quattro assi di legno. Chissà per quale curiosità, Alfredino rimuove quella precaria copertura e scivola dentro. Il padre torna a casa e il bambino non c’è. Scatta l’allarme. S’è fatto buio, quando iniziano le ricerche, senza esito. Poi, verso mezzanotte, un Agente di polizia che sta passando vicino al pozzo, ode le invocazioni di Alfredo che, dentro il cunicolo stretto e buio, chiama la madre.
Arrivano sul posto i primi soccorritori, ma l’impresa di salvataggio appare subito molto complicata. Con un megafono, si cerca in giro una persona veramente magra per scendere giù, dove, nella notte, aveva tentato senza successo un volontario legato per i piedi a capofitto. Intanto si decide di scavare un altro tunnel parallelo, ma quando viene tentato il collegamento orizzontale, ci si accorge che, nel frattempo il bambino è scivolato per qualche altro metro.
Hanno fatto irruzione sulla scena le telecamere che ora trasmettono, in diretta, la scena affollata di soccorritori e anche di curiosi. Vanno in onda 18 ore di diretta su RAI 1 e RAI 2 a reti unificate, trasformando l’evento locale in fatto di cronaca nazionale ad elevato impatto emotivo sull’opinione pubblica. In chiusura di un TG viene data la notizia (falsa) dell’imminente uscita del bambino, esasperando la delusione.
Intanto, i tentativi dei volontari “veramente magri” si susseguono invano. Passano le ore e la situazione assume sempre più gli aspetti estremi del dramma. Con Alfredino che invoca e i genitori inermi sull’orlo del pozzo. Dove, ad accrescere il disagio della confusione e della commozione arriva, a metà mattina, pure il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Siamo ormai alla seconda notte dell’operazione, quando è certo che Alfredino si trova ad una profondità di oltre 50 metri allo stremo delle forze. Dal microfono fatto scendere nel tunnel, si ode il suo pianto diventato flebile. Pertini, dopo tante ore, è ancora lì, pure lui in visibile angoscia. Di minuto in minuto ormai le speranze di trarre in salvo Alfredino si sono rarefatte. Soprattutto dopo che ad Angelo, il volontario arrivato quasi a contatto con il bambino, gli è scivolato di mano. Se n’erano presentati in molti di “filiformi” per entrare nel pozzo e fu necessario un Vigile urbano messo a prendere le loro misure. Mentre c’è una madre che piange e si dispera per un figlio che muore nell’inferno della solitudine. Sepolto prima di morire.
Alfredino è nel cunicolo da troppe ore e la sua capacità di resistenza appare allo stremo. Si legge su La Repubblica: E’ finita. La lotta di Alfredo per vincere il buio del pozzo è cessata. E, con la lotta di Alfredo sono finiti il silenzio carico di tensione, la solidarietà, lo sforzo dei soccorritori, le favole di Mazinga raccontate sull’orlo del pozzo maledetto dal Vigile del fioco, lo slancio dei volontari, lo smarrimento di chi aveva sinceramente sperato di strappare il bambino alla sua ingrata fine. Una crudele altalena di speranze e scoramenti.
Alfredino ha avuto sempre più freddo, ha pianto sempre più sommessamente, si è adagiato senza più forze in un’ansa del condotto e lì s’è spento. Restano ora sul luogo della sciagura, alcuni “pompieri”, i poliziotti, molti volontari, tutti con l’espressione segnata dalla sconfitta. Come spesso accade in Italia, fallimento fa rima con polemica: Il caso penoso di Alfredino non fece eccezione. Anche se poi contribuì positivamente all’approvazione della legge (24.2.1992, n.225) che portò alla istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile.
In quel tempo, l’Italia stava senza Governo. L’Esecutivo, guidato da Arnaldo Forlani, era caduto (28 maggio) in conseguenza dello scandalo P2. Durante una perquisizione giudiziaria nella villa del gran maestro massone Licio Gelli, a Castiglion Fibocchi, in provincia di Arezzo, era stato scoperto il famoso elenco di quasi 1000 nomi eccellenti che formavano la Loggia Propaganda due. Ci trovarono iscritti uomini delle Istituzioni, dello Stato, delle Forze armate, delle professioni, del giornalismo. Fu un terremoto. E mentre il piccolo Alfredo agonizzava nel pozzo di Vermicino, in Sicilia, due fratellini di Siracusa (spesso la sorte è infame) morivano (12 giugno), cadendo anch’essi in un pozzo profondo una ventina di metri.
La narrazione drammatica, fatta per la prima volta in diretta dalla TV, entrò nelle case della gente, provocando una partecipazione spasmodica, quasi isterica all’evento. Il trascorrere del tempo quasi, quasi eseguiva una condanna per un bambino di 6 anni, costretto sofferente a subire il martirio. Poi ci fu l’operazione di recupero del piccolo cadavere. Venne ritrovato soltanto dopo 31 giorni, ripiegato su se stesso, con la mano destra dietro la nuca, rattrappito, sporco di motriglia.
Restava soltanto – vivo e tagliente – lo strazio vissuto da Ferdinando Rampi e mamma Franca Bizzarri, minuto dopo minuto, per quella loro creatura prigioniera laggiù a 60 metri nella orrenda bara di fango. Mi sovviene il poeta che, anche lui, per il suo fanciullo morto, aveva scritto (Pianto antico): L’albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno dai bei vermigli fior, nel muto orto solingo, rinverdì tutto or, ora e giugno lo ristora di luce e di calor. Tu, fiorr della mia pianta percossa e inaridita, tu dell’inutil vita, estremo unico fior, sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra e il sol né ti rallegra, né ti risveglia amor.