L’esercito nazista invade l’Unione Sovietica di Peppe Stalin
di Adriano Marinensi
Nel mese di giugno, c’è una data segnata in rilievo nella recente storia d’Europa e della 2^ guerra mondiale. All’alba di quel giorno – il 22 del 1941, 84 anni fa – ebbe inizio l’Operazione Barbarossa: Il dittatore nazista, che aveva già sottomesso a mano armata, mezza Europa, mise in atto l’ambizioso progetto di conquista dell’Unione Sovietica, tra lo stupore generale. La sorpresa aveva una ragione: Tra le due potenze esisteva un Trattato di non belligeranza, firmato appena qualche tempo prima (23 agosto 1939), conosciuto come Patto Molotov – Ribbentropp.
La progetto di invasione era rimasto segreto e sbalordì anche l’altro dittatore Giuseppe Stalin che aveva salutato con entusiasmo l’accordo di pace tra il suo Paese e la Germania. Si sentiva al sicuro e bollò subito l’aggressione come un alto tradimento. La comunicazione gli venne data dal generale Georgij Zukov, Capo dell’Armata rossa, pressappoco così: “L’esercito del suo carissimo nemico Hitler ha varcato stamane, con i carri armati, i confini dell’URSS. Siamo in guerra con la Germania”.
La notizia lo lasciò basito. Così come sbalordì Mussolini che conobbe la decisione a fatto compiuto come aveva saputo dell’inizio della guerra mondiale dopo l’attacco alla Polonia (1 settembre 1939). Un modo quantomeno singolare di trattare gli alleati. C’è una foto sui libri di narrativa che documenta l’inizio della catastrofe. Si vede un gruppo di soldati della Wehermacht che sposta una barra di confine: stavano spostando la storia dell’umanità (5 anni di battaglie e 50 milioni di morti).
La sorpresa dell’aggressione ebbe l’effetto iniziale di spianare la strada ai nazisti che, in poco tempo, dilagarono in territorio sovietico, sino a Stalingrado, la grande città industriale che immortalava il nome di Stalin. Ed anche per questo fu investita in forze per ordine di Hitler. Proprio a Stalingrado ebbero luogo i due scontri più cruenti (andata e ritorno) del conflitto tra nazisti e sovietici, che lasciarono sul campo una città totalmente distrutta e una ecatombe di militari e civili uccisi, feriti o fatti prigionieri.
Eppure, avrà pensato Stalin di fronte alla notizia passatagli da Zukov, gli equilibri territoriali, ad oriente, li aveva stabiliti anche la Conferenza di Monaco (29 – 30 settembre1938). Quindi era doppio il tradimento. Non sapeva forse che per i dittatori nazifascisti valeva il detto mussoliniano che i trattari sono pezzi di carta. Il tiranno russo s’era sentito tutelato da quell’impegno di non aggressione sottoscritto nel 1939 e non aveva organizzato una deterrenza adeguata. Comunque fosse, le armate nemiche, espugnata Stalingrado, giunsero, in modo rapido, alle porte di Mosca. Con una immensa forza militare (milioni di uomini, migliaia di carri armati e di aerei).
Per tentare di contrastare quella poderosa offensiva, difendere la Patria e la Rivoluzione, Stalin fece appello all’intero popolo ed ai militari dell’Armata Rossa pronunciando alcuni memorabili proclami patriottici che attivarono la controffensiva con la mobilitazione generale. Ebbe grande alleato il generale inverno. Le basse temperature, talvolta estreme, l’immensità della steppa, le difficoltà dei rifornimenti contribuirono al fallimento dell’Operazione Barbarossa che si rivelò una catastrofe per le truppe dell’Asse.
Il tremendo calvario della ritirata del contingente italiano dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia, impegnata sul fronte del Don, dal luglio ‘42 al febbraio ’43) è narrato nel libro – testimonianza scritto da Giulio Bedeschi e considerato ottimo esempio di letteratura di guerra. Quando l‘arrogante assalto nazista si trasformò in una rotta penosa e catastrofica.
Eccolo un passaggio emblematico: “Come ciechi i marciatori (in ritirata, n.d.a.) continuarono a camminare nella neve, affondando fino al ginocchio. Piangendo, bestemmiando e avanzando di 300 metri in mezz’ora. Come in ogni notte, ciascuno credeva di morire di sfinimento, qualcuno veramente si abbatteva e veniva ingoiato dalla mostruosa nemica. Ma la colonna proseguì nel nero cuore della notte”.
La sconfitta dell’aggressore nazista sul fronte orientale segnò una svolta decisiva nella 2^ guerra mondiale, culminata con l’entrata a Berlino delle truppe sovietiche all’inseguimento di ciò che restava della grande armata messa in campo da Hitler. Fu sconfitto anche l’obiettivo ideologico del Fuhrer che mirava a debellare il comunismo, conquistare le risorse naturali esistenti ad est di Mosca, utilizzare gli sconfitti come forza lavoro nelle industrie fondamentali per l’economia di guerra.
Vennero poi il suicidio di Hitler ed Eva Braun (30 aprile ‘45) nel bunker di Berlino sotto la Cancelleria. In quella dimora sotterranea morirono “suicidati” anche Joseph Goebbels, Ministro della propaganda nazista, la moglie Magda che prima avevano ucciso con il cianuro i loro 6 figli (il più “anziano” aveva 13 anni). Benito Mussolini e altri 15 alti gerarchi della Repubblica di Salò furono fucilati (28 aprile ’45) a Dongo sul Lago di Como, dai partigiani per ordine del C.L.N. di Milano. A Caserta, il contingente tedesco che aveva occupato l’Italia dopo l’8 settembre ’43 (Armistizio di Cassibile) firmò la resa incondizionata.
Restava ancora da combattere l’ultima parte della Battaglia del Pacifico (USA vs Giappone), scoppiata all’indomani del disastroso attacco alla base americana di Pearl Harbor (7 dicembre ’41). Ci vollero le atomiche di Hiroshima (6 agosto ’45) e Nagasaki tre giorni dopo e gli oltre 200.000 morti all’istante per convincere il Sol Levante ad accettare la capitolazione (2 settembre ’45). La più grande guerra mai combattuta al mondo era finita, lasciando dietro di sé milioni di vittime ed enormi popolosi territori distrutti.