Concessi 60 giorni ai medici che hanno eseguito l’autopsia per capire le cause della tragica fine di Patrizia Canini
La procura di Spoleto sta proseguendo con le indagini che puntano a fare totale chiarezza sulla tragica vicenda che ha visto protagoniste due donne disabili della provincia di Rieti che da circa un anno e mezzo vivevano a Onelli, un grappolo di case sopra Cascia, insieme a una badante di 68 anni.
Una di loro, la 48enne Patrizia Canini, è stata trovata priva di vita giovedì mattina. La donna sarebbe morta poco prima dell’arrivo dei soccorritori, allertati dalla badante che ai sanitari ha detto che la sua assistita era stata colta da un malore. L’altra disabile, 46 anni, è stata trasportata in ospedale per accertamenti, visto che sul suo corpo, come su quello della Canini, erano state rilevati dei lividi di dubbia provenienza.
Intanto si attendono i risultati dell’autopsia disposta sulla donna deceduta e affidata ai medici Luca Tomassini e Sara Riccioni, che dovrà anche chiarire alcuni aspetti che in gergo vengono definiti tossicologici. Ai medici che hanno eseguito l’esame autoptico sono stati concessi sessanta giorni di tempo per fornire i risultati. All’autopsia ha partecipato, come consulente tecnico della difesa, il dottor Gaetano Falcocchio, medico legale di Rieti.
In buona sostanza, si cerca di capire se la poveretta avesse ingerito farmaci, in misura diversa o di tipologia differente da quelli che avrebbe dovuto assumere, ammesso che seguisse un piano terapeutico specifico.
Intanto con il passare delle ore si cerca di comprendere non solo quali sono state le cause che hanno portato alla morte della 48enne, ma più in generale anche far chiarezza sulle condizioni in cui vivevano le due donne, affette da diverse fragilità sia fisiche che cognitive.
Entrambe provenienti dalla provincia di Rieti, disabili al 100 per cento, comunque sia sparite da tempo dai radar dei servizi sociali delle zone di residenza.
A Onelli vivevano praticamente da invisibili. Nessuno le conosceva, gli abitanti del posto raccontano di averle a malapena incrociate qualche volta, quando si recavano a buttare l’immondizia, in compagnia dei due cagnolini, o a raccogliere la legna in un fazzoletto di terreno a poche decine di metri dall’abitazione, che non era di loro proprietà e dove non risulta fossero in affitto. In Umbria, quindi, non avevano un medico di famiglia, né alcuna forma di assistenza sanitaria e sociale pubblica.
Per questo i carabinieri di Norcia, sotto il coordinamento della Procura di Spoleto (il pubblico ministero Andrea Claudiani è titolare del fascicolo) intendono indagare anche sui conti correnti e più in generale sul patrimonio delle due donne, che presumibilmente prendevano una pensione.
Quando gli inquirenti sono arrivati nell’abitazione di Onelli, il contatore della corrente era staccato. In quella casa, quindi, che si trova in piena zona montana, si viveva con il solo riscaldamento di una stufa a legna, mentre si cucinava con una bombola a gas. Senza luce.
Una situazione di degrado sociale su cui la procura, guidata dal facente funzioni Vincenzo Ferrigno, intende assolutamente indagare. Gli accertamenti investigativi puntano anche a chiarire se le donne avessero familiari, quali fossero gli eventuali contatti con loro e come siano giunte in quella frazione sperduta, a cinque chilometri dalla cittadina di Santa Rita.
Della badante, di chi l’avesse incaricata e su quale legame avesse con loro si sa ancora poco.
Di sicuro c’è che tra le due invalide e la badante non ci sarebbero legami di parentela, così come è da chiarire il ruolo dei proprietari dell’abitazione, se è vero che non risultano contratti d’affitto riconducibili a chi, in quella casa, ci abitava, anche in condizioni discutibili.
Il nome di quest’ultima è stato iscritto dalla procura di Spoleto nel registro degli indagati con l’ipotesi di maltrattamenti nei confronti delle due donne.
La badante 68enne, indagata per maltrattamenti e difesa dall’avvocato reatino Gioacchino Belloni, ha detto: «Non ho mai maltrattato nessuno: vivevamo insieme a Onelli di Cascia e andavamo d’accordo».
Un modo per consentirle di partecipare, attraverso i suoi consulenti, a tutti gli accertamenti che, prima ancora che le circostanze della morte della 48enne, puntano a inquadrare bene la situazione, che agli dei soccorritori di si è presentata come di profondo degrado. Si perché le due donne vivevano in un’abitazione dove non c’era la corrente elettrica e per questo costrette a scaldarsi con una stufa a legna. Mentre per cucinare utilizzavano una bombola a gas.
La badante, assistita dal suo legale, potrà chiedere di essere sentita, non solo per chiarire la sua posizione, ma anche per definire i contorni di una vicenda che, nell’immediato, restituisce un quadro di profonda tristezza e solitudine, oltre che di degrado sociale.
Tra i primi verbali finiti agli atti dell’indagine c’è anche la testimonianza della sopravvissuta, ricoverata in ospedale.
Con il passare dei giorni, tuttavia, chi indaga cerca di allargare la lente su diversi scenari, compresi quelli relativi al motivo per cui le donne fossero finite in quel paesino montano, apparentemente prive di una assistenza sanitaria e sociale di cui avrebbero avuto diritto. In paese, dove molti non conoscevano quelle tre donne arrivate all’incirca un anno e mezzo fa, c’è chi ipotizza che provenissero da una struttura.
L’attività degli inquirenti si sta concentrando sull’istituto, con sede nella provincia di Rieti, da cui provenivano sia la disabile morta, Patrizia Canini, sia l’altra invalida.