Smentite tutte le ricostruzioni della donna sulla morte del bambino

E’ passato poco più di un anno dalla morte del piccolo Alex, il bambino di 2 anni ucciso a coltellate a Città della Pieve lo scorso primo ottobre, e oggi l’inchiesta sul suo omicidio è alle battute finali.
Del delitto è accusata la madre del piccolo, Katalina Bradacs, che secondo la ricostruzione dei magistrati perugini avrebbe colpito colpito Alex Jushaz sette volte al collo, al torace e all’addome con un coltello. Ad inchiodare la donna, oltre alle testimonianze, sono state le registrazioni delle telecamere della zona.
La donna era stata dichiarata incapace di intendere e di volere e venne messa agli atti la perizia dello psichiatra romano Maurizio Marasco, incaricato dal gip Angela Avila. La relazione medica venne contestata dal pm Manuela Comodi, che chiese un’altra perizia per la 44 enne, con la presenza anche di un medico ungherese.
Gli uffici diretti dal procuratore Raffaele Cantone hanno contestato alla donna anche la premeditazione.

Nell’ultima telefonata fatta al padre del piccolo Alex, Katalina Bradacs chiedeva il permesso di vedere il figlio più spesso rispetto alle due volte stabilite dal tribunale di Budapest. Nella registrazione di una conversazione – che il Corriere dell’Umbria all’epoca dei fatti ricevette da amici della donna residenti in Ungheria – gli chiedeva “Ciao, sono Kati. Volevo chiederti se, caso mai, mi appello contro la sentenza, può darsi che ci sarà un cambiamento, che posso vedere Alex più spesso?”, ma lui risponde: “Non lo so, secondo me ora lo puoi vedere solo con i servizi sociali”.
La donna insisteva “Ma se tu me lo permetti, allora lo potrei vedere di più”. Norbert Juhasz le sbarra la strada: “Per ora, dovresti guarire prima. Va bene? Mettiti in ordine e poi ne parliamo”. Katalina allora chiese cosa doveva mettere in ordine, “lo sto crescendo bene” affermava.
E poi, dopo aver udito le urla del piccolo il padre chiese cosa stesse accadendo, lei disse che era iperattivo e che il bimbo aveva “problemi di comportamento”. Dopo un altro scambio di battute, Katalina tornò a insistere su cosa la aspettava se e quando, dovesse riportare il bimbo in Ungheria. ed affermava “per 2-3 anni non lo vedrò. Così, quando avrà 5 anni, non riconoscerà la sua mamma. Vero? Chi sarà la sua mamma? Chi chiamerà mamma?”.
Se queste ultime parole scambiate con il padre del piccolo Alex possano essere state il movente per l’omicidio nessuno può saperlo. Di certo, da quella chiamata, alle 12.47 del primo ottobre, al momento in cui Katalina era entrata al Lidl sono passate due ore. E prima di andare a fingere di chiedere aiuto per il figlio già morto, la donna aveva inviato una serie impressionante di messaggi. La foto del bambino insanguinato giunse in diversi telefoni di suoi conoscenti, al figlio maggiore. Ad un altro conoscente ungherese avrebbe scritto “adesso non lo avrà più nessuno”, facendo evidente riferimento alla sentenza del tribunale che le toglieva il bambino. Secondo Katalina erano state raccolte prove false su di lei.
Ad inizio indagini, secondo il Gip, Manuela Comodi la donna aveva premeditato l’omicidio e aveva perfino pianificato il suo alibi. Infatti 24 ore prima del dramma, Katalina Erzsebet Bradacs aveva giustificato il possesso di un coltello, che le fu poi sequestrato, come difesa personale, poiché a suo dire era spaventata dai troppi immigrati, che violentano le donne e fanno del male ai bambini.
La donna, 45enne ungherese, non è mai uscita dal carcere da quando fu arrestata, dopo essersi presentata a un supermercato di Po Bandino, non lontano dal luogo del delitto, e aver adagiato il corpicino straziato del figlio sul nastro della cassa. La versione che il piccolo fosse stato aggredito in sua assenza non aveva mai convinto ed era stata presto smentita dalle immagini delle telecamere di sorveglianza. Prima della confessione, a maggio, davanti ai periti nominati dal tribunale del Perugia. Come scrive il Messaggero, al centro delle indagini, in questi mesi, proprio le due perizie psichiatriche su Katalina Bradacs, affetta da depressione, che ha parlato di una “visione” che le avrebbe imposto di uccidere il bambino”. L’ultimo esame ha ribaltato il primo, escludendo la totale incapacità di intendere e di volere. La donna secondo gli esperti presenterebbe un vizio parziale di mente. Elemento che in caso di condanna porterebbe a una diminuzione della pena.