Il “grande esodo” degli italiani dai territori jugoslavi (1945 – 1956)
di Adriano Marinensi
Il giorno del ricordo (10 febbraio) è una solennità civile nazionale, istituita con la Legge30 marzo 2004, n.92, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano – dalmata, al fine di conservare e rinnovare la conoscenza – soprattutto tra i giovani – dei tragici eventi che colpirono i cittadini italiani, residenti in territorio slavo. Detta così è soltanto la definizione di un evento che invece merita d’essere spiegato.

Cosa sono e dove si trovano le foibe? Sono dei grandi e profondi inghiottitoi (caverne verticali), tipici della regione carsica e dell’Istria, dove se ne trovano a centinaia. Famosa, per fare un esempio, è quella di Pisino, un abisso profondo 100 metri e largo circa 20, esistente ai piedi del Castello di Montecuccoli, in provincia di Modena. Le foibe ricordate il 10 febbraio, sono però altrove ed hanno una storia fatta di efferatezze compiute soprattutto dai partigiani jugoslavi, ai danni dei militari e civili italiani della Venezia Giulia, del Quarnaro, della Dalmazia.

Si venne a creare, in un breve periodo, una serie di passaggi di dominio prima con la presenza delle organizzazioni fasciste e militari italiane, poi con l’occupazione nazista di una parte del territorio (Trieste, Pola e Fiume) e, dall’altra, la presa di potere dei partigiani jugoslavi. Questa precarietà politica fini per agevolare condizioni di instabilità, tradotte in violenze e atrocità.
Fu chiamata anche la grande vendetta, una indiscriminata pulizia etnica, perpetrata sulla popolazione. Il riferimento temporale dell’evento ha inizio con l’avvento del regime fascista in Italia che impose alla comunità slava pesanti statuizioni di assimilazione forzata, accentuando la contrapposizione tra le diverse componenti sociali ed accrescendo l’antico sentimento anti italiano. Che risultò esasperato nel corso dell’occupazione nazifascista durante il 2° conflitto mondiale. Divenne ostilità armata dopo l’8 settembre 1943 e poco prima della costituzione dello Stato comunista Jugoslavo.
Senza rispettare alcuna norma di giustizia, i Comitati popolari di liberazione, di parte slava, eseguirono condanne a morte e molti degli uccisi, insieme ad altri ancora in vita, furono gettati nelle foibe. E nelle foibe finirono nascoste molte vittime di ritorsioni personali a danno degli italiani, per motivi politici e “in odium fidae”. Furono istituiti anche dei campi di concentramento molto simili ai lager nazisti. Una aggressione persecutoria verso i nostri connazionali colà residenti da sempre, che dette il via ad un esodo di massa e cioè la fuga di migliaia di famiglie italiane dell’Istria e della Dalmazia. Soprattutto dai territori ceduti alla Jugoslavia in base al Trattato di pace firmato a Parigi nel febbraio 1947. Molti centri urbani risultarono quasi completamente spopolati.
La stima degli esodati italiani indicò un numero tra i 250.000 e i 350.000 interessati al flusso migratorio. Nel 1960, con i dati ufficiali del censimento, il fenomeno venne quantificato così: dei 432.136 residenti di nazionalità italiana, ne erano rimasti 17.516. In sostanza, ciò che avvenne, in quella parte d’Europa, passata più volte di mano, può definirsi il martirio di un popolo, investito da un turbine di vendette sommarie, di faide private che costarono molte vite e molte economie furono distrutte e usurpate. Il sacrificio di quei tanti nostri connazionali merita perenne rimembranza storica, come una serie di barbarie lontane da ogni forma di civiltà. Dobbiamo difenderne la memoria e non soltanto in occasione del 10 febbraio. In uno spirito di pace e di rispetto umano.