Indagine di Confcommercio Umbria tra un campione di 800 imprese
All’insegna dello slogan “NON spegnete l’Italia, NON spegnete il Futuro”, il 5 settembre in tredici città è andata “in scena” la protesta degli imprenditori.
Dalle piccole alle più grandi, non c’è attività del commercio, turismo e servizi che non debba fare i conti con gli aumenti vertiginosi delle bollette di luce e gas. Sono aumenti che hanno un impatto tale sul loro futuro da indurle alla protesta plateale. Così, il 5 settembre scorso gli imprenditori di commercio, turismo e servizi hanno animato un presidio in contemporanea in tredici città umbre, aderendo all’iniziativa di Confcommercio Umbria “NON spegnete l’Italia, NON spegnete il Futuro”.
Perugia, Terni, Assisi, Bastia Umbra, Castiglione del Lago, Città di Castello, Foligno, Gubbio, Gualdo Tadino, Marsciano, Norcia, Spoleto e Umbertide sono stati i luoghi di una protesta simbolica, che ha voluto rappresentare un livello di esasperazione e preoccupazione altissimo. Ben in evidenza cartelli con alcuni esempi di aumenti di bollette: i costi sono mediamente triplicati rispetto agli stessi mesi del 2021, ma in alcuni casi gli aumenti sono ancora più clamorosi.
E poi in ogni piazza – in collegamento con la conferenza stampa del presidente di Confcommercio Umbria Giorgio Mencaroni – c’è stato il falò delle bollette, momento clou di una iniziativa che è nata davvero dal “basso”, dall’angoscia di imprenditori che temono fortemente per il futuro della propria attività.
La protesta prevede anche lo spegnimento di luci e insegne delle imprese, escluse quelle in attività, nelle ore notturne dalle 20 di lunedì 4 fino a venerdì 9 settembre.
“Con aumenti dei costi dell’energia del 300%/400% e un’incidenza sui costi di gestione altissima lavorare è impossibile. Molte imprese – ha sottolineato Mencaroni – hanno fiato per 1-2 mesi, poi, se non saranno posti freni agli aumenti, saranno costrette a soluzioni drastiche. A tanti converrà chiudere piuttosto che tenere aperto. Ma una scelta del genere per un imprenditore è drammatica, anche perché siamo perfettamente consapevoli dell’impatto sociale e occupazionale che ne deriverebbe: perdita di posti di lavoro e contemporanea ulteriore inflazione a causa di aumenti inevitabili dei prezzi per chi vuole continuare a stare aperto. Per questo bisogna intervenire subito e in modo incisivo e la prima urgenza è fissare un tetto al prezzo del gas e dell’energia elettrica riconoscendo un credito di imposta che compensi gli aumenti record sin qui registrati anche per le imprese non energivore e non gasivore. Un credito di imposta del 15% per l’energia elettrica non è assolutamente adeguato agli extra costi che le imprese stanno sostenendo ora. Inoltre, va eliminata ogni tassa/accisa sulle bollette energetiche fino al 31 dicembre 2022”.
Nella guerra di sopravvivenza che le imprese umbre hanno ingaggiato contro il caro bollette, che ha indotto Confcommercio Umbria a manifestare il 5 settembre in 13 piazze della regione, i numeri danno il senso di una vera e propria emergenza.
Secondo una indagine dell’organizzazione realizzata attraverso il suo Sportello Energia e basata sull’analisi delle bollette di circa 800 Pmi del commercio, turismo e servizi, nel mese di luglio 2022 l’importo degli insoluti nei pagamenti è aumentato più del 110% rispetto allo stesso periodo del 2021.
In diversi casi la situazione di morosità si protrae da molti mesi, anche 13/14 – a testimonianza di difficoltà pregresse risalenti all’effetto – con le aziende che si barcamenano pagando via via qualche bolletta arretrata, ma non riuscendo comunque a far fronte a tutti i pagamenti e a rimettersi a regime. Cosa decisamente difficile, considerato che il costo per la luce in media è passato dai 20/22 cent a Kwh di luglio 2021 ai quasi 70 cent di luglio 2022, che saliranno sopra gli 80 centesimi per i consumi di agosto. Nel luglio 2020, sotto pandemia, il costo era attorno ai 4 centesimi kWh!
Facendo una simulazione rapportata ad un consumo mensile di 3.000 kWh, che è quello medio di un ristorante, si è passati da 700 euro del luglio 2021, ai 2.084 del luglio 2022, ai 2.500 dell’agosto 2022.
Molte aziende che prima pagavano con l’addebito in conto corrente lo hanno revocato per avere così la possibilità di rateizzare gli importi, peraltro da concordare con il fornitore.
La situazione peggiore è quando, dopo una serie di solleciti di pagamento non ottemperati, il fornitore decide il distacco per morosità, o invia il preavviso di diminuzione di potenza.
In seguito a questa seconda eventualità l’impresa si trova nella generalità dei casi con appena 1,5 kwh di potenza contatore disponibile, il che vuole dire l’energia equivalente alla luce di una scala o di un garage!
I fornitori tendenzialmente preferiscono questo al distacco, perché l’impresa, se vuole andare avanti, è costretta in qualche modo a pagare: ma la coperta è cortissima, e se si tira da una parte rimane scoperta dall’altra, per cui l’attività non riesce a far fronte al pagamento di altri oneri obbligatori, con tutte le conseguenze del caso.
Tra l’altro i debiti pregressi oggi “inseguono” l’impresa anche se cambia fornitore: infatti con l’introduzione dello strumento denominato CMOR, il debito pregresso contratto con il primo fornitore dell’impresa viene trasmesso al nuovo fornitore, che lo inserisce nella prima fattura utile, maggiorato anche delle spese: e il debito pregresso non è nemmeno rateizzabile. Quindi alla fine o cessi l’attività o paghi!
Unica nota positiva è che il Decreto Aiuti bis ha reso nulle le clausole contrattuali che davano al fornitore energetico la possibilità di modifica unilaterale del prezzo. I fornitori peraltro possono aggirare questo limite, recedendo unilateralmente dal contratto e cessando la fornitura energetica. A quel punto l’impresa finisce nel cosiddetto mercato di salvaguardia, che però è penalizzante perché ci sono oneri maggiori.
Un ulteriore pericolo di questa crisi energetica è che tanti piccoli “dettaglianti” dell’energia – in Italia sono oltre 450, e molti quelli scarsamente strutturati, perché magari sono srl con 10 mila euro di capitale sociale! – rischiano di “saltare”: il che da un lato può servire a fare “pulizia” sul mercato, ma dall’altro spedisce i clienti nel più costoso mercato di salvaguardia, lascia spazio solo ai grandi big che dominano il mercato e mina il principio di concorrenza.
Insomma, uno scenario davvero fosco, in cui la luce in fondo al tunnel – tanto per rimanere in tema – è davvero fievole se non si interviene con misure immediate ed adeguate.
Confcommercio ha elaborato anche un elenco di buone prassi rivolto alle imprese per il risparmio energetico:
- Spegnere le insegne luminose e le apparecchiature non necessarie in concomitanza con gli orari di chiusura dell’attività commerciale
- Ridurre l’intensità luminosa del punto vendita e spegnere o ridurre in modo significativo l’illuminazione in ambienti poco frequentati
- Regolare la temperatura ambientale dell’attività (riscaldamento/raffrescamento) nell’ottica di contenere i consumi
- Interrompere la funzione di riciclo dell’aria nelle ore notturne
- Impiegare luci a led
- Tenere chiuse le porte di ingresso per evitare dispersioni termiche in assenza di lame d’aria
- Ridurre la temperatura dell’acqua utilizzata all’interno dei locali
- Utilizzare in maniera efficiente l’energia elettrica ed il gas naturale per la cottura dei cibi, monitorando i relativi consumi energetici
- Utilizzare in modo efficiente le celle e i banchi frigoriferi, attraverso un corretto caricamento degli stessi, limitando le aperture allo stretto indispensabile e sensibilizzando anche la clientela a tal fine
- Utilizzare in modo efficiente gli elettrodomestici in dotazione all’attività commerciale
- Razionalizzare l’organizzazione del lavoro al di fuori degli orari di apertura al pubblico (pulizie, caricamento banchi, ecc.) al fine di ridurre i consumi energetici.
- Fare un check dei punti di maggior consumo di energia all’interno della propria attività e intervenire per fare ottimizzazioni.