Tre concerti al giorno, ritmi quasi non sostenibili per una città tutta orecchie
Ripercorrere cinque giorni di Sagra è come battere un gioioso tamburo, tante sono le risonanze che ne escono. Anche con una certa difficoltà per seguire gli appuntamenti che si succedono in sequenza implacabile, fino a tre al giorno, in luoghi diversi, come l’Orto Medievale o l’Istituto Opere Pie Donini. Partiamo da sabato scorso quando un lutto occorso alla comunità dei Padri Benedettini di san Pietro ha decretato un improvviso cambiamento di luogo indirizzandoci verso la borrominiana sala di santa Cecilia. In questa conchiglia rococò dei padri Filippini la risonanza acustica particolarmente convessa, con le sue balaustra sporgenti che spezzano il suono e lo ridistribuiscono verso la cupola, ha consentito ai cantori de La Stagione Armonica di Sergio Balestracci di proporre un gioiello della polifonia tardo rinascimentale, la commedia armonica L’Amfiparnaso”.

Si tratta di un adattamento dei vezzi della commedia dell’arte a una polifonia che, sul limitare del Cinquecento, si faceva proiezione verso l’aurorale teatro musicale. Era il 1597 e mentre i fiorentini esperimentavano già il palcoscenico aulico, nella opima pianura modenese si celebravano le accensioni carnascialesche della commedia dell’’arte ibridandole con una successiva pubblicazione a Venezia. E’ l’ultimo sussulto dei lazzi dei guitti dell’arte mescidiati con le raffinatezze del contrappunto più evoluto.

Nello spazio dell’oratorio, una conchiglia sempre più preziosa, i cantori di Sergio Balestracci, con supporto di liuto e tiorba, hanno animato le vicende di Lelio, Pantalone, Hortensia, capitan Cardon, Isabella e Petrolin secondo i collaudati schemi dell’equivoco e della gelosia, ornandole di una serie di madrigali rappresentativi della più preziosa fattura. Le maschere, opportunamente mosse da Alessandro Bressanello che interagiva con Alessia Donadio, hanno dialogato con la tiorba di Pietro Prosser e la viola di Silvia de Rosso, alternandosi col concerto vocale in un entusiasmante percorso che, con le pure risorse della polifonia, rappresentava quella grande città “che è il teatro del mondo”.

Il lunedì successivo, alle 17, l’aula magna dell’Università per Stranieri si apriva per la seconda delle cinque conferenze programmata. Graditissimo il ritorno di Marco Carminati, giornalista e storico, per rinnovare il successo dello scorso anno. Lo aspettavamo in molti e non siamo stati delusi. La sua esposizione, sorretta da una ampio documentazione di diapositive, ci ha aperto gli occhi della mente sulla Venezia dei sogni del Grand Tour. Il Canaletto e i suoi “scaraboti”, quei disegnai preliminari che il Canal, dopo averli presi a vista e disegnati in un quaderno, sottoponeva alla camera ottica ricavandone i quadri che oggi ornano i musei di mezzo mondo e che sono una delle collezioni più note della real casa Britannica. Venezia, anche con visioni inconsuete di luoghi non frequentati dai turisti, Londra, e i formidabili “capricci” di un artista che conobbe lo straordinario successo incrociando la sua parabola con quella dei Vanvitelli, i rivali vedutisti che agivano con meno luce, forse, ma con più sfarzo. L’inevitabile decadenza, provocata anche dalla concorrenza del nipote, il Bellotto, e un misero testamento sono quasi concomitanti con la inarrestabile decadenza della regina dell’Adriatico.

Appena il giorno seguente, martedì l’ingegner Enrico Tombesi, il creatore del Post di via Pinturicchio, oggi passato a incarichi prestigiosissimi, ha voluto spiegare, sempre nell’aula magna di palazzo Gallenga i prodigi della intelligenza artificiale generativa. Lo ha fatto dialogando con un grande interlocutore, Beethoven. Una bellissima esperienza per chi ha potuto ascoltare da una voce del computer risposte molto coerenti e ricchissime di informazioni. Alcune delle domande sono state poste dai presenti e hanno stabilito una relazione con l’ipotetico interlocutore che è stata considerata verosimile da tutti.

Mercoledì 13, sempre nel pomeriggio, la convocazione più ambita, il concerto letterario dedicato alle “lezioni americane” di Italo Calvino. Uno studioso di vaglio, Paolo di Paolo, ha dato sostanza a un nutrito dialogo con Enrico Bronzi che ha risposto alle voci delle Lezioni con quello che è poi essere risultato uno splendido concerto, con brani solistici di Sciarrino, Dowland, Dallapiccola, Ligeti e un Preludio e fuga di Bach. Spettacolo collaudatissimo che lo scorso anno si è guadagnato gli allori della critica e che proviene dal Mittelfest dello scorso anno, com il ritorno in città del suo direttore, il perugino Giacomo Pedini.

E veniamo al concerto di ieri sera, lo straordinario appuntamento in Pinacoteca, la mitica galleria Nazionale dell’Umbria dove gli Amici della Musica hanno passato gli anni migliori della loro esistenza. Oggi, in un ambiante che il direttore Pierini ha saputo trasformare in una vetrina d bellezze, in mattinata si è svolto l’attesissimo convegno su Matteo da Perugia. Figura mitica dell’Ars Nova, polifonista alla corte di Milano, nome citato spesso, per quanto poi mai ascoltato. Ma ci ricordiamo di una presenza di musiche di Matteo in uno straordinario concerto in san Pietro, maggio 1996, con il compiacimento dell’allora presidente Franco Buitoni.

Il complesso Mala Punica diretto da Pedro Memelsodorff realizzò una interessante “Missa cantilena” con l’esecuzione di travestimenti liturgici nell’Italia tra fine Trecento e primi Quattrocento. Ieri in mattinata la sala gotica ha ospitato un convegno sulla figura storica di Metteo con la curatela di Paolo Scarnecchia, figura di studioso ben nota alla Sagra e un dibattito animato Anne Stone (New York), Antonio Calvia (Pavia), Andrea Locatelli e l’australiano Jason Stoessel. Alle 19 quando la luce rendeva opache le bifore le trifore del palazzo dei Priori, la Fonte Musica, rinomato complesso vocale e strumentale, ha dato vita a un concerto memorabile in cui la musica di Matteo, sotto gli occhi comatosi del grande Cristo di san Francesco al Prato, si è intrecciata con quella del contemporaneo Johannes Cicinia e dei tanti maestri anonimi di pagine religiose dell’epoca.

Pregevolissime le voci che erano quelle di Francesca Cassinari, Alena Dantcheva, Gianluca Ferrarin, Massimo Altieri e del nostro Mauro Borgioni. Viole, clavicembalo e organo erano suonati da Efix Puleo, Teodoro Baù e Federica Bianchi, mentre Michele Pasotti, impugnando il liuto, si prodigava anche nella direzione del complesso. Spettacolo memorabile, oltre che esecuzione di grande raffinatezza che ha raggiunto gli esiti di un entusiasmo condiviso da tutti i presenti. Commozione in chi aveva la consapevolezza, da perugino, di aver riacquistato un pezzo della sua storia recuperando un maestro che, prima del suo trasferimento al Duomo d Milano, potrebbe aver calpestato lo stesso pavimento su cui noi ieri sera camminavamo. Condividendo un destino che tocca a molti perugini. In questa città, per essere riconosciuto importante, devi cambiare aria e la stima del mondo devi andare a guadagnarla altrove. Poi, anche se settecento anni dopo, ti daranno un po’ di considerazione.
Stefano Ragni