Dopo diciassette anni dalla tragedia il caso torna a far parlare di sé
A riaccendere i riflettori è stato l’ex pubblico ministero Giuliano Mignini, che in un’intervista di qualche giorno fa, ripesa da tutti i media, ha ipotizzato la possibile presenza di un “quarto uomo” sulla scena del delitto, un individuo mai identificato né formalmente indagato.
Un’affermazione che ha lasciato interdetti molti, tra cui l’avvocato Francesco Maresca, storico legale della famiglia Kercher, che ha seguito la vicenda giudiziaria in tutti e cinque i suoi gradi di giudizio. In una intervista realizzata dalla giornalista Erika Pontini, specializzata in cronaca nera, apparsa sul Quotidiano la Nazione oggi, l’avvocato ha dichiarato “Caso chiuso, ma restano i dubbi”. Il legale della famiglia Kercher pur ammettendo di essere rimasto “sorpreso” dalle parole di Mignini, ribadisce con fermezza che la vicenda processuale è “ormai chiusa”.
La sentenza della Cassazione del 2015 – che ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito, confermando invece la condanna di Rudy Guede a 16 anni di carcere – rappresenta, secondo il legale, “la parola definitiva”, anche se “lascia molti interrogativi aperti sull’interpretazione dei fatti”.

L’avvocato sottolinea come resti tuttora irrisolto il mistero della calunnia commessa da Amanda Knox ai danni di Patrick Lumumba, reato per il quale è stata condannata in via definitiva. «Resta da capire – afferma Maresca – per chi e per cosa Amanda abbia mentito. Allo stesso modo non è mai stata chiarita la simulazione dell’effrazione nella casa di via della Pergola: Guede è stato assolto da quella contestazione, dunque qualcuno altro deve averla messa in scena».
Il nodo della “quarta persona”: ipotesi senza riscontri
L’idea di una “quarta presenza” o di un “terzo uomo” diverso da Guede, Knox e Sollecito, Maresca la respinge con decisione e nell’intervista al quotidiano “La Nazione” dichiara: «Conosco ogni pagina del processo e non è mai emerso nulla del genere. Tutti gli elementi scientifici e testimoniali hanno sempre fatto riferimento esclusivo a quei tre».

Secondo il legale, nessuna prova – né biologica né indiziaria – ha mai fatto supporre la partecipazione di un altro individuo alla violenza che portò alla morte di Meredith. L’avvocato si dice inoltre ignaro della fonte di Mignini, e ribadisce di non conoscere “né la persona né l’origine della presunta informazione” relativa a un individuo fuggito all’estero dopo il delitto.
Rispondendo alle domande della collega Erika Pontini, che ha seguito di pari passo tutte le fasi e le vicessitudini del processo, Maresca difende l’operato dell’accusa e degli inquirenti: «Gli accertamenti furono completi: oltre 300 reperti analizzati alla presenza dei consulenti delle parti».
Anche la controversa questione del “gancetto del reggiseno” – prova chiave poi esclusa – viene da lui ridimensionata: «Ci fu un errore nella repertazione, ma il profilo genetico ricavato era chiaro. La Cassazione ha smantellato quel risultato, ma resta un punto di discussione importante».
Sull’eventualità che il caso Meredith possa riaprirsi, come accaduto per il delitto di Garlasco con Alberto Stasi, Maresca è netto: «Non ci sono i presupposti. La revisione è prevista solo per le condanne, non per chi è stato assolto».

Un caso chiuso, ma non nella coscienza collettiva
La posizione di Maresca riflette il limite tra giustizia formale e verità sostanziale: il processo si è concluso, ma il bisogno di comprendere fino in fondo ciò che accadde quella notte a Perugia resta. Le parole di Mignini, sebbene prive di riscontri giudiziari, riaprono le ferite di una vicenda che ha segnato profondamente l’opinione pubblica internazionale, alimentando ancora oggi teorie, dubbi e sospetti.








