Domenica 28 maggio, come ogni anno, i credenti nel Dio d’Israele pregano insieme
di Bruno Di Pilla
Indissolubile è il vincolo che, in tutto il mondo, unisce i fedeli delle religioni ebraica e cristiana. La solenne festività cristiana di Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli nel Cenacolo a Gerusalemme 50 giorni dopo la Resurrezione di Gesù Cristo, si sovrappone domenica 28 maggio, come ogni anno, alla “Shavuòth” ebraica.
Dopo 49 giorni d’attesa, gli israeliti ringraziano il Signore per i frutti della Terra e per il dono a Mosè della Toràh, il Pentateuco biblico. La Pentecoste ebraica, sul cui tronco s’innesta quella cristiana, segue la celebrazione di “Pèsach”, la Pasqua, che si protrae per 8 giorni (dal 9 al 16 del mese di aprile), in memoria della liberazione del popolo eletto dalla schiavitù d’Egitto, narrata nel Libro dell’Esodo.
Emblematico è l’intreccio delle festività ebraiche con quelle cristiane, che forniscono un quadro esauriente delle mirabili opere dell’Altissimo, racchiuse nei 76 Libri della Bibbia, 49 del Primo e 27 del Secondo Testamento. Le Sacre Scritture, il cui messaggio si rivolge agli uomini d’ogni tempo, costituiscono da millenni il volume più letto del mondo, non a caso tradotto in oltre 1.100 lingue e dialetti. Del “Libro dei Libri” esistono versioni in molteplici forme idiomatiche.
Celebre è la “Vulgata”, traduzione in latino di Gerolamo (IV secolo), che il Concilio di Trento ritenne autentica in materia di fede e costumi, così come molto apprezzate sono le versioni in tedesco di Martin Lutero e, in italiano, di Alfredo Disegni e Samuel David Luzzatto. Al di là delle trasposizioni linguistiche, ebrei e primi cristiani definirono la Scrittura con termine unico: “Alleanza” perenne tra Dio e le creature, purché l’uomo viva onestamente, pratichi la giustizia e soccorra poveri, vedove, orfani e forestieri. Ne sono un drammatico esempio, oggi, i milioni di profughi non solo ucraini e africani che bussano (talvolta invano) alle porte dei Paesi più ricchi.