
Intervista esclusiva al Questore di Perugia Giuseppe Bellassai: «La percezione della sicurezza spesso non collima con la realtà»
di Francesco Castellini
“Nessuno deve sentirsi solo. L’obiettivo è che la Polizia diventi ancora di più punto di riferimento di chi ha bisogno d’aiuto e protezione”. Si presenta così Giuseppe Bellassai, da cinque mesi Questore di Perugia, per il quale “il fattore determinante e vincente è il rapporto partecipativo con la comunità”. Un approccio operativo che ne ha sempre distinto il modo di agire e che è stato ribadito anche nel corso di questo colloquio diretto, avvenuto nel suo ufficio al quarto piano della Questura. Bellassai, dirigente superiore della Polizia di Stato, è siciliano, originario di Santa Croce Camerina. Entrato in Polizia nel 1988, dal 1992 al 2005 ha guidato la Squadra Mobile di Ragusa, impegnandosi in particolare nella lotta alle locali cosche mafiose, assicurando alla Giustizia numerosi latitanti della provincia. Poi, per merito delle sue capacità organizzative e delle particolari attitudini alla direzione di importanti servizi, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza lo ha inviato in missione per quattro anni presso il Centro di Lampedusa, dove ha gestito le criticità connesse al fenomeno migratorio. È stato poi, tra l’altro, vicario del Questore di Palermo, Questore di Benevento e di Taranto. A fine ottobre del 2021 il dottor Giuseppe Bellassai ha preso in mano le redini della Questura del capoluogo umbro, assicurando, insediandosi, di “conoscere già i problemi principali della realtà perugina. Ribadendo fin da subito la sua filosofia operativa: «Il presupposto è che la gente abbia fiducia in noi. Fondamentale muoversi ascoltando le istanze dei cittadini». Consapevole peraltro del fatto che «la percezione della sicurezza spesso non collima con la realtà», definendo questo «un aspetto da non sottovalutare e su quale occorre lavorare fin da subito». Al dottor Bellassai rivolgiamo alcune domande per aiutarci a definire il quadro della criminalità che opera in loco.
Signor Questore, qual è a suo parere l’emergenza principale avvertita arrivando da fuori a Perugia?
«Dal primo giorno sento dire “spaccio-Fontivegge”. Ma non dobbiamo perdere di vista il quadro generale. Nel senso che il Questore è un’autorità di pubblica sicurezza di tutta la provincia, quindi anche di Gubbio o di Città della Pieve. E dunque ha il compito di tenere sotto controllo tutti i fenomeni criminali, dai più piccoli ai più ampi, che possono rovinare una realtà come questa, che rispetto ad altre ha criticità è ancora tutto sommato abbastanza ordinata».

Dunque può definire a grandi linee qual è il suo modo di operare?
«Sto ancora studiando – ammette a Umbria Settegiorni – ma una mia idea me la sono fatta. Tante sfide, una certezza comune: la macchina deve funzionare a livelli adeguati alle necessità per dare sempre risposte alle istanze che vengono dai cittadini».
Perugia è sempre stata definita una realtà “tranquilla”, anche se purtroppo infiltrazioni criminali non sono un miraggio.
«Non amo sentire parlare di realtà tranquilla. Perché se la realtà è tranquilla va ancora più monitorata. Dai livelli centrali le indicazioni arrivano continuamente. Siamo attrezzati per poter valutare tutto quello che ci accade attorno, anche perché siamo strutturati in questo senso con una Prefettura e una Procura distrettuale molto attente a certi fenomeni. Ecco perché sono pienamente operativi gli uffici investigativi, affiancati da una Divisione anticrimine che si occupa della lettura di aziende che con l’antimafia si fanno avanti per acquisire determinati appalti. Siamo pienamente consapevoli che la criminalità ha solo l’obiettivo di fare soldi e che si insedia laddove trova terreno fertile e proficuo».
Ma dire “c’è la mafia in Umbria!” forse per fortuna non è possibile!
«Questa è una regione che è in linea con la tesi espressa da personaggi ben più autorevoli di me, a cominciare dal procuratore Cantone. Cioè, almeno in base ai dati di cui siamo in possesso e che emergono da tutta una serie di fattori sui quali noi lavoriamo, non registra un radicamento di grosse organizzazioni criminali sul territorio. Che non significa che non ci sia un interessamento, che va comunque monitorato, scongiurato, contrastato e combattuto nei modi dovuti. Tant’è che nostre attività investigative hanno permesso di acclarare degli interessi di consorterie malavitose sul territorio di Perugia, che hanno peraltro di recente portato al sequestro di beni legati alla ’Ndrangheta calabrese».

Affrontiamo allora una questione molto “sentita” da tutti, vale a dire l’inquietante fenomeno della microcriminalità, che con la sua presenza e diffusione, crea un allarme sociale difficile da arginare e contenere.
«È vero, e questo mi è stato confermato in questi mesi di permanenza, che questo territorio soffre di alcuni problemi che sono più attinenti al fenomeno della microcriminalità. Ma riguardano anche, forse in primo luogo, attività criminose che attengono, sono legate e sono la diretta conseguenza del traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti. Partendo da una considerazione, vale a dire che è ovvio che se c’è tanta offerta è chiaro che dall’altra parte ci sia anche tanta domanda. Anche se ritengo che Perugia sia anche un crocevia “privilegiato” per certi traffici illegali. Certo oggi le cose sono un po’ cambiate. In base a quello che noi verifichiamo sul campo possiamo dire che in questo momento il traffico e lo spaccio è in mano ad organizzazioni di soggetti stranieri, bande di extracomunitari che rischiano di assumere nel contesto provinciale sempre più importanza, e che per questo motivo vanno combattute e limitate nel loro raggio di azione. Ed è quello che noi cerchiamo di fare giornalmente. A proposito, mentre fino a 10/15 anni fa, mi dicono, lo spaccio a Perugia era porta a porta, in mezzo alle strade, e dunque anche più facile da controllare e contrastare, oggi la situazione è differente. È stata fatta tanta pulizia, non c’è più una presenza dello spacciatore così sfacciata, ma chiaramente
l’attività permane e va affrontata con armi differenti. Affrontata con attività di carattere investigativo, intercettativo, comunque con mezzi che sono differenti rispetto a quelli del mero controllo del territorio. Ed è quello che facciamo. Chiaramenti questi strumenti investigativi che mettiamo in campo hanno dei tempi, che sono quelli di un’indagine, necessariamente ampi. Per cui il ritorno che comunque assolutamente positivo, perché riesce a disarticolare le varie compaggini che si occupano di questo fenomeno, è un ritorno che si ha normalmente dopo un certo periodo dall’inizio dell’indagine. Ciò consente di arrivare alla disarticolazione della consorteria, dell’organizzazione criminale che si occupa di quella determinata attività di traffico e di spaccio».
Eppure la microcriminalità continua a imperversare.
«Sì, se facciamo un raffronto fra il 2021 e il 2019, che è l’ultimo anno prima del Covid, troveremo che la crescita dei delitti in generale in territorio provinciale si attesta sul 2,64% in più nel totale dei reati. E mentre nello specifico diminuiscono i furti in generale, siamo a meno 3,50%, per quanto riguarda quelli in abitazione si registra un incremento del 15%. Quindi la percezione allarmante sul breve periodo è corretta. La preoccupazione è reale, l’avverto e ritengo che sia giustificata. Ma faccio sempre una differenza fra quello che è il dato oggettivo e quello che è la percezione di sicurezza, in quanto il cittadino guarda al momento storico particolare che sta vivendo nel territorio dove svolge la sua vita, e si sente in pericolo in base ad una serie di fatti criminosi che si verificano in loco».
In effetti ci sono molte frazioni e aree metropolitane dove più che altrove si registrano furti in abitazione. Questo come si spiega?
«Abbiamo sperimentato sul campo che questo tipo di attività criminosa è soprattutto ad appannaggio di soggetti provenienti da fuori regione, che trovano nelle vie di collegamente, anche facili, con le zone in oggetto, la possibilità di fare delle scorribande per poi tornare nei territori di provenienza. Di fronte a situazioni di questo genere, di fronte a territori vastissimi, con un numero elevatissimo per ciascun Comune di frazioni, tutto questo diventa più facile per questo tipo di organizzazioni e diventa più complicato per le forze dell’ordine assicurare una presenza costante e fare un controllo capillare».
Che cosa bisogna fare allora?
«Mettere in atto quello che ha chiesto il Prefetto a tutte le forze dell’ordine. Vale a dire mettere in atto una maggiore attività sinergica sui territori che sono presi di mira, colpiti da questo tipo di fenomeno. Noi peraltro, come Polizia di Stato, da quando ci sono io, abbiamo creato un progetto che si chiama “Borghi sicuri”, che ha proprio questo scopo, quello di mettere insieme tutte le risorse per contrastare il crimine. Per cui ci si riunisce con la Polizia locale del luogo, Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, e si opera un’attività di controllo insieme, puntando a monitorare quelle criticità del territorio che ci vengono segnalate, che riusciamo
ad individuare permanendo sulle arterie più importanti di collegamento. Questo con il doppio intento di fare prevenzione per questo tipo di reati e anche di trasferire alla collettività un sentimento di maggiore fiducia, dovuto anche al vedere una rassicurante presenza delle forze dell’ordine in campo».

Un modus operandi che nella tanto tormentata area della stazione perugina sembra stia funzionato fino a far già registrare risultati incoraggianti.
«Non c’è dubbio che in quel quartiere “difficile” la nostra attività quotidiana, insieme alla collaborazione strettissima sinergica con l’Amministrazione comunale e la Polizia locale di Perugia, stia portando a dei risultati importanti. Va detto che questo è un percorso che abbiamo iniziato, che va migliorato e accompagnata ad altre decisioni che possano incidere favorevolmente sulla sicurezza, ma io credo che in un periodo medio lungo i risultati si debbano vedere. Così come ritengo che l’attività sinergica sui territori, così come ci ha chiesto il Prefetto, e come facciamo con “Borghi sicuri”, alla fine porti a dei risultati concreti. Per quanto la peculiarità di questi fenomeni criminali, così circostanziati nel tempo, nello spazio, mi porta a ritenere che insieme a questa attività di prevenzione e di controllo del territorio, e quindi a questa implementazione di controllo del territorio, si debba pervenire anche ad affiancarvi una attività di carattere investigativo, di carattere tecnico, che consenta di individuare le responsabilità».
Quello che si chiama “intelligence”?
«Esatto, un’attività che non è mai disgiunta dal controllo e dalla presenza sul territorio e che fa leva sulla piena collaborazione attiva con i cittadini. Questo sta alla base di “Borghi sicuri”, che significa “mettiamoci tutti quanti assieme. Uniamo le forze per migliorare il controllo del territorio nell’interesse della collettività, ma consapevoli tutti del fatto che la sicurezza non la fanno solamente le forze di polizia, o la magistratura, o il Prefetto che coordina le forze di polizia. La sicurezza oggi la facciamo tutti assieme e una parte fondamentale del fare sicurezza sono i cittadini e i Istituzioni. Noi dobbiamo cercare di attrarre il cittadino a noi. Ma creare fiducia nel cittadino significa anche fargli vedere che noi siamo interessati alle sue problematiche. Fare “Borghi sicuri” significa anche dire “stiamo con te, voglio risolvere il problema veramente”. Alla base di questa scelta c’è questo. Ne sono pienamente convinto che l’attività di contrasto a certe fenomenologie in particolare non possa prescindere da un rapporto forte, saldo, collaborativo, partecipativo, con il cittadino. Così come penso, tornando al discorso delle organizzazioni mafiose, che è sicuramente vero che certe organizzazioni criminali non sono riuscite ad allignare in questo territorio è sì merito delle attività delle forze dell’ordine e della Procura, ma merito fondamentale io penso che sia dei perugini. Un’organizzazione criminale per riuscire a radicarsi in un territorio deve trovare terreno fertile anche nella mentalità della popolazione. Se si accorgono che quel terreno non c’è stanno attenti. Quindi il merito lo ripongo in gran parte nella rettezza di questo popolo, nella sua capacità di essere molto attento a rispettare la legge».