di Bruno Di Pilla – Quando non ci saremo più noi, figli del Novecento, probabilmente la carta stampata (giornali e riviste) si estinguerà. Certo, dispiace vedere l’inesorabile, progressiva chiusura di edicole e testate un tempo leggendarie, ma è incontestabile il fatto che le nuove generazioni mostrino una pressoché totale indifferenza nei confronti delle edizioni cartacee di quotidiani e pubblicazioni periodiche. Non è un caso che da anni si stiano moltiplicando le edizioni digitali persino di giornali una volta considerati, nei vari Paesi del pianeta, insostituibili fonti e canali d’informazione.
A questo punto è lecito domandarsi se la cosiddetta web tax (tassa sui giganti mondiali del web) sia legittima e, soprattutto, utile al vecchio mondo dell’editoria. Sono numerosi coloro, economisti.e politici, che la ritengono addirittura dannosa, dal momento che già ora le grandi piattaforme tipo Google e Facebook ospitano gratuitamente notizie e contenuti di quotidiani e periodici altrimenti destinati all’oblìo per carenza di lettori, cui gli editori possono rivolgersi, chiedendo di abbonarsi, esclusivamente sul web. Tra l’altro, se anche si giungesse ad un arbitrato fra le parti, tutt’altro che agevole sarebbe la quantificazione dell’aliquota da applicare, nelle diverse aree della Terra, alla web tax. Come si comporterebbero i singoli Stati, molti dei quali hanno già mostrato una decisa avversione a questo specifico ed assai controverso tributo? Emblematico ed allarmante il caso australiano: subito dopo il varo della legge locale, che impone il pagamento della web tax alle piattaforme digitali, senz’alcun preventivo accordo, Facebook ha reagito oscurando tutti i siti di quel Paese. A chi giovano azioni di forza come quelle del Governo australiano?