di Adriano Marinensi – Era di maggio, ma a Milano, verso il centro della città, la primavera non è quasi mai primavera. Le brume grigie dello smog attenuano la luce del mattino. Sono da poco passate le 11 del 28 maggio 1980. Il cielo appare plumbeo e quel signore che usa l’ombrello come bastone da passeggio, è appena uscito di casa e cammina tranquillo lungo il marciapiede. E’ un giornalista di punta del Corriere della Sera; anzi di più, è il Presidente dei giornalisti lombardi, una carriera prestigiosa malgrado i suoi 33 anni.
Si chiama Walter Tobagi, nato in Umbria, a Spoleto; la sorella del padre abitava a Terni. Gli esordi nel campo dell’informazione ai tempi del famoso periodico studentesco milanese “La Zanzara”. Poi, all’Avanti, all’Avvenire, infine “inviato” del Corriere. Scrive anche di Brigate Rosse, gli assassini seriali che hanno barbarizzato l’Italia, durante i cosiddetti anni di piombo. Lui, Tobagi, si muove con assoluto rigore nel racconto di quel periodo violento. Come tanti altri colleghi, corre il pericolo di finire nei progetti omicidi delle B. R. e lo sa, ma il suo alto senso della deontologia professionale fa da usbergo al timore. Non sarà stato eroismo, però di sicuro, senso profondo del proprio dovere nella difesa degli ideali democratici.
A Milano, a Torino, a Genova, a Bologna, a Roma fare giornalismo o rappresentare la legge e lo Stato era come stare in prima linea. I criminali, mascherati da combattenti politici, si muovevano dappertutto, sprezzanti d’ogni senso dell’onore e dell’umanità. Criminali e basta, capaci soltanto di operare con la tecnica vile e spietata dell’agguato senza scampo. Nell’inchiesta “La notte della Repubblica”, Sergio Zavoli ha contato – per il periodo dal 1974 al 1988 – 86 omicidi. Il 1980 non fece eccezione. Anzi. Furono in 15 a cadere sotto i colpi dei terroristi. Carabinieri (3), Poliziotti (4), Dirigenti industriali (3), Magistrati (2), un Giurista, un Politico, un Giornalista, Walter Tobagi, appunto.
Tragico il 1980, pure per altri accadimenti. A Palermo, in gennaio, la mafia uccide Pier Santi Mattarella, fratello del Presidente della Repubblica. Il 7 giugno, un aereo partito da Bologna per Palermo, esplode in volo, causando 81 morti: è entrato nell’elenco dei misteri d’Italia. Ancora terrorismo, a Bologna. Il 2 agosto, una potente carica di esplosivo fa saltare in aria la stazione: 85 morti (tra loro anche il ternano Sergio Secci) e 200 feriti. Di quella strage, Miriam Mafai scrisse: “E’ la guerra, un pezzo di guerra dentro la città. Un pezzo di guerra si è abbattuto su questa vecchia stazione.” A novembre, il 23, per completare l’anno orribile, la natura aggredisce l’Irpinia con un terremoto del X grado Mercalli: 6 milioni di abitanti coinvolti, 280.000 sfollati, quasi 3000 morti e 9000 feriti. Una devastazione. A S. Angelo dei Lombardi, 4000 abitanti, 482 morti, con un indice di danno del 90%. Il gemellaggio operativo tra i Comuni di Terni e Castelnuovo di Conza, mi portò sui luoghi della catastrofe e vidi piccoli borghi di edilizia antica, sparsi per la campagna, ridotti in macerie. Qualcuno, sito sulla cresta di un colle, rotolato giù per il dirupo.
Walter Tobagi lo aggredirono in 6 quella mattina di maggio, quasi tutti figli della borghesia meneghina. Due di loro spararono 5 colpi di pistola. Erano quelli della Brigata XXVIII marzo, costituitasi a Milano tra gli aderenti alla lotta armata, all’indomani dei sanguinosi fatti di Genova. Il 28 marzo 1980, a Genova, in un appartamento di Via Fracchia, n.12 (Paolo Villaggio non c’entra affatto), quattro brigatisti furono sorpresi dai Carabinieri. Ne seguì un breve scontro a fuoco: i banditi, tre uomini e una donna, rimasero uccisi e un Maresciallo ci rimise un occhio, colpito da un proiettile. I terroristi lanciarono un delirante messaggio: dieci Carabinieri saranno ammazzati per ogni compagno caduto. Lo stesso bieco stile di Kappler e delle S. S. alle Ardeatine. Disse il Presidente Sandro Pertini agli operai Montedison di Porto Marghera: “Le minacce che giungono non turbano il mio animo. Vuol dire che, essendo anch’io bersaglio delle B. R., riprenderò la lotta di allora contro il fascismo.” E aggiunse: “Considero il Quirinale un avamposto nella lotta al terrorismo.”
Ci fu, tra gli esecutori materiali del delitto, una figura assai controversa: Marco Barbone. Appena arrestato, alcuni mesi dopo, si dichiarò pentito e grazie alla sua collaborazione, le forze dell’ordine riuscirono a catturare l’intero gruppo di fuoco. Pare si sia anche convertito al Cattolicesimo ed entrato in Comunione e Liberazione. Al processo ebbe una condanna inappropriata alla colpa commessa: 8 anni e 6 mesi, con la libertà condizionata. Insomma, un mezzo scandali giudiziario-
A Milano, nei pressi della casa di Tobagi, laddove fu assassinato, c’è una targa in memoria, che riporta il passo di una lettera scritta alla moglie. Spiega la ragione del lavoro scrupoloso di una persona, la sua persona, “intellettualmente onesta, libera e indipendente che cerca di capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo dei valori umani.” Decine di Comuni, grandi e piccoli, in mezza Italia, gli hanno dedicato una via a testimonianza del valore dell’uomo e del giornalista.
Aveva tenuto, per lungo tempo, un diario che, con nobile decisione della famiglia, è rimasto riservato. Gaspare Barbiellini Amidei ha scritto: “Sarebbe un giorno lezione civile poterlo leggere sui banchi di scuola. Molti ragazzi dicono di voler fare da grandi i giornalisti. Lo diventino come lui fu.” E Leo Valiani: “Se le grandi masse del nostro Paese hanno saputo difendere la Repubblica, lo si deve anche ad uomini come Walter Tobagi ed al loro sacrificio. Noi gli dobbiamo sempre un accorato omaggio.” Con questo semplice ricordo, nel quarantesimo anniversario della scomparsa, ho voluto aggiungere pure il mio rispetto per un collega umbro di elevato civismo e rigore morale. Ha lasciato la storia di una vita breve, ma onorevole.
Siccome siamo a maggio, il mese della sua scomparsa, e poiché era un valente giornalista anche lui, mio fraterno Amico, un pensiero voglio rivolgerlo a Sandro Boccini. Fu operatore culturale, Consigliere regionale dell’Umbria per tre legislature, accanito cultore delle tradizioni popolari, difensore rigoroso dei valori democratici, dell’ambiente, dell’arte regionale, dei diritti dei giovani; soprattutto uomo del fare, pioniere della modernità sociale e civile. Ho scritto altra volta: Se n’è andato in primavera, proprio quando la natura, che aveva tanto amato, gli stava rifiorendo attorno. Fu pietosa con Sandro la terribile SLA perché gli risparmiò il disfacimento fisico e la decadenza delle facoltà primarie. Ci incontrammo, l’ultima volta, a Contigliano, in quella sua minuscola casa di campagna. Era il 2 di maggio 1993; il 10 è morto.