Di Adriano Marinensi – Il terremoto assassino ha imposto lacrime e sconforto in Umbria e ha aggiunto notorietà indesiderata a Norcia, la Santa patria del Patrono d’Europa. In mezzo a tanta tristezza forse potrebbe portare un soffio di sollievo, una nota meno grigia, richiamando un guitto dello schermo, legato al nome di Norcia. A differenza del Gattamelata da Narni – personaggio storico, immortalato da Donatello nella statua equestre eretta in una piazza di Padova – Brancaleone da Norcia è stato partorito dalla fantasia dei cineasti Age (Agenore Incrocci) e Furio Scarpelli, per la regia di Mario Monicelli. Si tratta dell’improbabile Capitano di ventura, impersonato mirabilmente da Vittorio Gassman, in due capolavori della commedia all’italiana: Brancaleone da Norcia e Brancaleone alle Crociate.
Vi hanno preso parte, tra i tanti, alcuni attori e caratteristi di primo piano come Gian Maria Volonté, Paolo Villaggio, Caterine Spaak, Enrico Maria Salerno, Folco Lulli, Maria Grazia Buccella, Adolfo Celi, Gigi Proietti, Lino Toffolo, Stefania Sandrelli. E Carlo Pisacane, il Capannelle de” I soliti ignoti”, anche questo film con lo stesso Gassman tra i protagonisti, insieme a Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Claudia Cardinale, Tiberio Murgia, Carla Gravina, Memmo Carotenuto, la partecipazione straordinaria di Totò e ancora Mario Monicelli alla regia. Una canagliesca combriccola di borgata tenta il colpo ladresco della vita e finisce ridicolizzata sui giornali. Simpatica la scenetta dello striminzito Capannelle che va alla ricerca, in un rione periferico di Roma, di un membro della banda del buco in allestimento. Si rivolge ad un bambino in dialetto emiliano: “Conosci un certo Mario che abita da queste parti?”. Il ragazzino, in romanesco: “De Mario ce ne so’ armeno cento”. Capannelle spiega: “Questo però ruba”. E il bambino: “Sempre cento so’.”
Raccontato al cinema, Brancaleone, il picaresco guerriero nursino, è diventato un eroe quasi credibile, un assurdo parimenti logico in ognuna delle sue mirabolanti imprese da crociato all’amatriciana. Chi è Brancaleone da Norcia? Lui si presenta così: “Sono impuro, bordellatore insaziabile, beffeggiatore, crapulone, lesto de lengua e de spada. Fuggo la verità e inseguo il vizio”. Mette insieme, al principio, uno sparuto gruppo di straccioni e li chiama la mia armata. Li arringa solennemente: “Io sono lo vostro duce. Per chi mi seguirà, ci saranno lacrime et sanguine, ma anche castella, ricchezze e femmine con le grandi puppe. Siete voi pronti a morire pugnango? Allora io farò di voi cinque …” Una voce fuori campo: ”Duce, semo quattro!” Poi, si infittiscono lungo il cammino che li deve portare alla conquista del feudo di Aurocastro, in Puglia. Allora, tutti in marcia con le insegne al vento. E la musica li segue: Marcia, marcia, marcia, leon, leon, leon… Così, l’Armata Brancaleone è diventata, per antonomasia, il sinonimo di consorteria arraffazzonata tra soggetti di varia e levantina umanità.
I fatti inventati da Age e Scarpelli nelle due pellicole, vengono collocati nel contesto della 1^ Crociata, intorno alla fine dell’XI secolo. Quando il predicatore Pietro l’Eremita chiama al dovere della fede, un nutrito stuolo di infervorati come lui e parte per la liberazione del Santo Sepolcro. Aveva messo in giro la ciancia di una visione del Cristo avuta nella Basilica di Gerusalemme. L’ordine ricevuto: liberare i luoghi santi e porre termine ai patimenti dei pellegrini. Al grido di Deus le vollt, Dio lo vuole, alcune migliaia di persone lo seguono e, lungo il tragitto, compiono atti affatto consoni alla sacra missione. Ad esempio, il cosiddetto “saccheggio dei pezzenti” nei sobborghi di Gerusalemme. Questo Eremita, in diversi modi lo si può definire, meno che un sant’uomo. Probabilmente, il Brancaleone cinematografico, proprio da lui trae qualche ispirazione.
C’è il vecchio e barbuto anacoreta che vive in cima ad una colonna. Da lui vanno due uomini vestiti di bianco, col il rispettivo seguito variopinto. Entrambi gridano: “Noi semo lo Papa vero !” Clemente da una parte e Gregorio dall’altra. Invocano “lo judicio” del S. Colombino sopra la colonna. Lui si rimette alla volontà di Dio e ordina: “Si apparecchino bracia ardente”. Quindi “non sarà uno judicio d’arme”, ma l’ordalia a decidere. Brancaleone, che si è dichiarato imprudentemente “lo campione” di Clemente, affronta per primo la prova del fuoco, camminando “lento pede” – ammonisce S. Colombino – e con grande tormento, sopra la striscia dei carboni accesi. Ci riesce e Clemente è dichiarato “lo vero Papa”. Fuori dalla finzione, va detto che, all’epoca, la storia della Chiesa annovera due Antipapi proprio con i nomi di Gregorio (VII) e Clemente (II). E va aggiunto che, durante i cento anni, dal 1000 al 1100, il soglio di S. Pietro, tra Papi e Antipapi, se lo sono disputati più di una ventina.
Ad Aurocastro, Brancaleone diventa “lo padrone e signore” – dice lui – accolto con favore dal popolo in subitanea fuga per l’arrivo “de lo nero periglio che vien dal mare: li pirati saracini”. L’intera armata eviterà per un pelo di finire “impalata”, soltanto per il verificarsi di circostanze favorevoli. E l’avventura continua con il tumultuoso duello tra il prode Brancaleone e il nobile Teofilatto dei Leonzi, in mezzo alle messi, durante il quale è molto più il grano mietuto con le spade che il sangue versato. Altra prodezza dell’armata è il salvataggio del “putto” di sangue reale, destinato a morte per mano del fratello del Re, aspirante usurpatore del trono. Eroicamente conservato in vita e riportato tra le paterne braccia di Boemondo, legittimo sovrano.
Di notevole effetto scenico, il confronto tra Brancaleone e la morte. Lui l’ha invocata per essere scampato poco nobilmente al massacro dell’armata. Vuole riscattare l’ignominia, però tergiversa di fronte all’angelo nero con la falce in mano. Ne nasce un dialogo suggestivo nella lingua un po’ latino maccheronico e un po’ umbra, parlata durante l’intera avventura. Alla fine prevale la morte, però sbaglia bersaglio e si porta via, parimenti soddisfatta, un’altra anima. E la vicenda granguignolesca e strampalata di Brancaleone, prima incentrata sulle avventure della sua armata (… Farò di voi cinque… Duce, semo quattro!), poi sui perigli della Crociata versoi Gerusalemme, riesce brillantemente a tenere il ritmo in entrambi i film; intercambiabili tra loro, tanto consequenziali sono le vicissitudini tragicomiche, costruite con maestria da Age e Scarpelli e narrate disinvoltamente da Mario Monicelli.