di Michela Biccheri – Insieme alla Festa dei Ceri, la Processione del Cristo morto che si svolge il Venerdì Santo – , è un altro dei momenti più sentiti delle tradizioni secolari eugubine e che richiama un grandissimo pubblico. Regolata dalla “Venerabile Confraternita di Santa Croce della Foce” dal 1567, la processione mostra tutte le simbologie che hanno segnato la sofferenza del Cristo fino alla sua crocefissione. Prima di quella data ogni piazza o rione manifestava le liturgie individualmente, cosa che ha radici nel XIII secolo. La stessa accensione dei fuochi nei quartieri, non rappresenta soltanto un’accoglienza al Cristo passante, ma simboleggia un gesto contro “le vanità”, un atto di fede. Il corteo è aperto da confratelli vestiti di sacco e cappuccio che suonano le ‘battistrangole’ a richiamare attenzione in modo fragoroso. Un suono agghiacciante e irrinunciabile.
Gli incappucciati simboleggiano l’umiltà: sono tutti coloro che dimostrano che il benefattore non deve portare un volto e nel contempo, azzerano le distinzioni di classe. Ognuno di loro porta in mano un simbolo della passione: il gallo, la corona di spine, i trenta denari, la lancia, le tre croci, il vessillo romano, i chiodi e molti altri. Le statue del Cristo e della Madonna che sfilano sono due preziose opere lignee artigianali sorrette e accompagnate dai cantori del “miserere”. Il coro del Cristo, con mantella nera e il coro della Madonna con mantella azzurra. E’ un canto in latino bellissimo, tanto tormentato quanto suggestivo per invocare perdono. Da pochi anni si è costituito anche il “miserere” delle pie donne che segue la statua della Madonna. La Venerabile confraternita ha iniziato l’iter di presentazione alla candidatura UNESCO delle Passioni Italiane.