di Adriano Marinensi – La strofa del ritornello di una canzonetta in voga ai tempi dell’avanspettacolo (cinema più varietà, spesso una rappresentazione penosa) faceva così: … una vecchia fontana, un amore lassù, o chitarra romana accompagnami tu ! A Terni, in Piazza Tacito, hai voglia a farti accompagnare dalla chitarra: quel che vedi è allo stesso livello dell’avanspettacolo (rappresentazione penosa). La vecchia fontana, incartata ormai da mezza dozzina d’anni, di sicuro – sono qui a scommetterci – lo rimarrà per altrettante primavere. Attorno – in tempo natalizio, a far da ingombro – una grossa pista di pattinaggio sul ghiaccio e, quasi non bastasse, anche qualche “baracchino”. Il senso dell’estetica urbanistica torturato e ucciso.
La “penna con il calamaio” (lo scrivo in italiano) ha da sempre simboleggiato l’operosità del popolo ternano, la tradizione del lavoro e dello sviluppo industriale. L’acqua e l’acciaio, la forza motrice e i giganteschi fucinati, ormai gloria del passato, quando la “grande Terni”, società multi produttiva, era punto di riferimento occupazionale per l’intero comprensorio. L’acqua, l’acciaio, il lavoro, la creatività sono stati i caratteri distintivi del nostro DNA, l’orgoglio di dirigenti, tecnici e maestranze. E la Fontana dello zodiaco, in Piazza Tacito, faceva da allegoria e da simbolo a tutto questo. Così, com’è ridotta, nascosta dentro un paravento impudicamente coperto di pubblicità, fa quasi rabbia. Da simbolo è diventata testimonianza del calo politico-culturale della “barca” e di chi sta al timone. Segno di una navigazione di piccolo cabotaggio, senza neppure una puntata in mare aperto.
L’Umbria e Terni insieme continuano a registrare sintomi di meridionalizzazione (non è uno scioglilingua) in fatto di povertà ed esclusione civile. Con l’economia e l’occupazione che non danno segni di sostanziale ripresa. Lo certifica il “Rapporto ISTAT 2016” che analizza le “condizioni di vita e di reddito” in Italia. Altro che cambio di passo (sulla strada) come si è sentito dire recentemente da qualche personaggio in vista. A Terni, bisogna cambiare strada. Occorre andare in diversa direzione, verso un modo di interpretare l’azione politica ed amministrativa che tenga in massimo conto il progetto di città sprovincializzata e tesa al recupero di un ruolo di avanguardia nella regione e non solo. Occorre aprire un orizzonte più ambizioso e autorevole, coinvolgendo le componenti della società locale, perché collaborino alla azione concreta per la soluzione dei problemi. Se poi si finisce impantanati in avventure extraistituzionali, allora il rischio che la storia di Terni deragli di nuovo (Ciaurro docet) diventa ipotesi nient’affatto teorica.
C’è l’esigenza di riascoltare, forte e chiara, la voce del Sindacato. Affievolita com’è, ha finito per ridimensionare la sua funzione della quale non si può fare a meno in una realtà industriale qual è presente nel comprensorio ternano. Non è manco il caso di sottoporre a “parere di congruità” le forze politiche di minoranze che, a Terni, risultano quasi non pervenute. Mentre al sindacato ed alla minoranza, la democrazia assegna un compito di alto profilo; di garanzia, ma ancor più di contributo progettuale e di idee che servano ad indicare nuove occasioni di programmazione e di sviluppo. C’è un mondo giovanile che appare quasi fuori d’ogni interesse partecipativo, al quale è doveroso offrire spazi di presenza e di impegno. Un mondo giovanile che torni ad essere protagonista e si riappropri del diritto – potere di rappresentanza. Cancellando il penoso rito della movida che sa di devianza culturale e mortificazione intellettuale. Va messo in campo un disegno amministrativo che sappia di celerità e incisività nelle decisioni. Vuol dire l’esatto contrario di quanto viene in mente di fronte all’inerzia della quale è vittima la Fontana dello Zodiaco .
S’io sapessi parlare il politichese, scriverei: A questo punto bisogna prendere coscienza di una situazione scivolata verso il basso. Si, coscienza ci vuole. Compresa la coscienza civile che debbono usare – lo scrivo come esempio – non solo gli amministratori nel pulire, anche gli amministrati, nel non sporcare il suolo pubblico. E allora, per sdrammatizzare i grigi pensieri sopra espressi, questa volta, con la solita aggiunta fuori argomento, voglio esagerare. Chiedo aiuto a Trilussa ed alla sua poesia in romanesco che si intitola proprio La voce de la coscenza (senza la “i”). Con la preghiera, rivolta al lettore, di reincolonnare il verso e la rima. Ecco dunque Carlo Alberto Salustri.
La sora Checca pare una balena: ogni passo che fa ripija fiato. Però sotto quer grasso esaggerato ce sta riposta un’anima che pena. Era felice, la boja sorte la fece restà vedova du’ vorte. Cià avuto du mariti, sarvognuno! Due se n’è messi all’anima, purtroppo! Gustavo prima e Benvenuto doppo, je so’ campati dodici anni l’uno e adesso se li porta a pennolone, attaccati a lo stesso medajone. Li tiè rinchiusi in un cerchietto d’oro, da una parte e dall’artra, sottovetro: Gustavo avanti e Benvenuto dietro. Che così non se vedeno fra loro e ognuno se figura e se consola d’esse rimpianto da una parte sola.
Gustavo è pensieroso e guarda storto, quasi che prevedesse l’accidente; invece Benvenuto è soridente, come fosse contento d’esse morto, ma ce se vede in tutt’e due la posa de gente che sospetta quarche cosa. La sora Checca infatti cià er rimorso che quann’ er primo stava ancora ar monno, faceva già la scema cor seconno in una certa cammeretta al Corso: però je le metteva bene assai, perché Gustavo nu’ lo seppe mai. Poi Benvenuto se la prese lui. Je fu fedele? Nun garantirei; prova ne sia ch’adesso s’è avvilita pe’ la paura che nell’artra vita, li du’ mariti parlino de lei; e quanno ce s’affissa cor pensiero je pare de sentilli pe’ davero. Gustavo dice: – Vojo sapé tutto! De me che te diceva? – Ch’eri un porco; quanno partivi tu, partiva l’orco: diceva ch’eri grasso, ch’eri brutto, che nun facevi gnente de speciale… – E invece me chiamava l’ideale!
In dodici anni dunque ha sempre finto! – strilla Gustavo – Nu’ l’avrei creduto! – Abbi pazzienza: – dice Benvenuto – è stata proprio lei che me cià spinto; der resto tu lo sai che nun so’ pochi quelli che ce facevano li giochi. Sta voce che risente così spesso nun è che la coscenza che lavora su li peccati che faceva allora, rimossi da li scrupoli d’adesso: e le scappate fatte, o belle, o brutte, una per una, le rivede tutte. Apposta soffre: ché le pene sue so’ appunto li ricordi de’ sti fatti: allora se riguarda li ritratti, pulisce er vetro, bacia tutt’e due e, sospiranno, fiotta a denti stretti: – Ereno tanto boni, poveretti! Sin qui, Trilussa. Io aggiungo sottovoce: Capito cos’è la “crisi di coscienza”? Nel caso Fontana in Piazza Tacito, il segno del pressappochismo e della sciatteria. E allora, tutti insieme (a remare sulla “barca”), è alla coscienza democratica che dobbiamo fare appello per accrescere il senso di responsabilità, la coesione sociale, il confronto serio e utile ai cittadini. Senza “oche del Campidoglio” a starnazzare (quelle almeno salvarono Roma).