Di Adriano Marinensi – Per i ternani come me che hanno attraversato la guerra, agosto non è un mese qualunque. La rimembranza ha un riferimento tragico: la quasi distruzione della città, momento di vita incancellabile, di dolore e terrore.
“La città del lavoro, conosciuta ovunque per la operosità tenace ed insonne dei suoi operai, è ora divenuta una città morta”. Sta scritto nel rapporto redatto dal Prefetto Antonio Antonucci, all’indomani del primo bombardamento di Terni, avvenuto l’11 agosto 1943.
Ebbe un bel da fare quel Prefetto per affrontare una situazione dove improvvisamente e quasi inattese, “le formazioni aeree nemiche – si legge ancora nella relazione – hanno sganciato 500 bombe di medio calibro”. Il disastro lo avevano fatto i bombardieri alleati in due ondate intorno a metà giornata. Precisa così il Prefetto: “La prima ondata, costituita da 12 apparecchi, iniziatasi alle 10,29, è terminata alla 10,33; la seconda, costituita da 32 apparecchi, iniziatasi alle 12, è terminata alle 12,04”. Bastarono otto minuti di inferno, per mettere tutto il centro abitato a ferro e fuoco. Per migliaia di famiglie, oltre piangere i morti curare i feriti, cercare gli scomparsi, c’era da disperarsi per aver perduto la casa ed ogni bene. D’improvviso eravamo diventati un popolo di diseredati senzatetto. Forse fu la fine della vita a far meno paura dell’indomani senza speranza. Anche i vivi parvero anime morte.
Era la tecnica dei bombardamenti a tappeto. Il loro successo veniva calcolato, in termini militari, secondo il numero delle vittime civili. Cioè, crimini di guerra e basta. Da una parte e dall’altra: a Terni gli americani, con le fortezze volanti, a Londra i tedeschi con le V1 e le V2. Senza rispetto alcuno, anzi nel segno dell’ignominia, così come privi di misericordia sono tutti gli atti d’ogni conflitto armato. Nella relazione c’è anche il conto delle perdite materiali ed umane. “Si calcola che siano state distrutte o danneggiate circa 1200 delle 2500 case del centro abitato”. Terni pagò, in quella calamità, un prezzo molto elevato che si accrebbe durante i dieci mesi che trascorsero prima della liberazione. Durante il periodo dall’11 agosto 1943 al 14 giugno del 1944, continuò ad andare in scena la tragedia dei bombardamenti, sopra una città privata dei servizi essenziali, della luce elettrica, in una condizione di estrema precarietà. Quando il carburo di calcio divenne un bene prezioso, per ricavare l’acetilene necessaria ad illuminare le abitazioni. Un prodotto di scambio soprattutto nelle campagne: un chilo, un pollo, due chili, quattro di farina.
A questo punto mi sia permessa una digressione che è anche una curiosità. In un opuscolo, curato da Angelo Ceccoli. che si definiva apprendista storico, ho ritrovato le bizzarre istruzioni, all’epoca emanate dal Servizio chimico militare dell’esercito fascista, per l’uso delle maschere antigas. Quasi non bastassero gli ordigni esplosivi piovuti dal cielo, c’era anche il timore per il possibile uso delle armi di distruzione di massa. Si legge nell’opuscolo che le maschere venivano fabbricate in 4 taglie, una delle quali per bambini. Tra le norme per l’impiego vi sono dettagliati consigli tecnici allo scopo di garantire l’efficienza del “presidio di difesa” che ti faceva respirare con ansimante fatica, però poteva salvarti la vita. Era un vivere sgangherato con la sirena d’allarme senza tregua, s’eri desto o se dormivi. E lo sgomento obbligatorio. Chi aveva buon udito faceva la sentinella: “Zitti un po’ ?” e, da lontano arrivava il rombo cupo degli aerei.
Ma, torniamo al Prefetto Antonucci. Afferma che, l’11 agosto, a Terni, l’ incursione a doppia ondata ha causato “circa 500 morti, già estratti e inumati e 493 feriti. Non può precisarsi il numero dei morti che trovasi sotto le macerie, ma si calcola che vi siano almeno altri 500 cadaveri”. Una ecatombe e, siccome c’era il solleone, si dovette fare in fretta ad inumare. I nomi dei caduti, insieme agli altri uccisi dai bombardamenti successivi, sono scolpiti sulla grande lastra di ferro appoggiata al muro laterale della Chiesa di S. Francesco, a Terni. Li vicino, c’è oggi un plesso scolastico frequentato da centinaia di studenti: sarebbe cosa buona e giusta che si fermassero qualche volta a riflettere di fronte a quell’elenco per diventare convinti operatori di pace.
La grande paura produsse un esodo biblico. “La popolazione del centro sfollata – sostiene il Prefetto – si aggira a più dei due terzi”. Per i feriti, c’erano disponibili soltanto due unità sanitarie, la 3 T, Clinica Moraca e la 2 T Le Grazie. “Malgrado le ridotte disponibilità di mezzi – scrive Antonucci – il personale della Croce Rossa si è prodigato nel soccorso, sotto la direzione del Capitano medico Libero Fornaci”. Fu costui uno dei personaggi che tenacemente, dall’agosto in avanti, cercarono di mantenere in efficienza il pronto soccorso con mezzi di fortuna, sfidando i pericoli delle bombe e dei tedeschi. Abbiamo visto cosa accadde all’inizio delle incursioni aeree ed ora andiamo alla conclusione dell’amara vicenda, attingendo informazioni proprio nel diario tenuto dal dr. Fornaci e riguardante gli ultimi giorni che precedettero l’arrivo dei “liberatori”.
Il 4 giugno 1944, la radio dette la notizia della liberazione di Roma. A Terni, si pensò all’arrivo degli alleati in tempi brevi e quindi alla cessazione d’ogni atto di guerra sulla città. Invece non fu così. “Nella notte tra il 4 e il 5 – racconta Fornaci, nel diario – alle 3, la nostra città subiva il più pauroso e violento bombardamento mai conosciuto dopo quello dell’11 agosto 1943. Per ben 55 minuti, alla luce dei razzi illuminanti, squadriglie di bombardieri si avvicendarono su Terni”. Non rimasero indenni neppure le strutture sanitarie e, seppure tra grandi rischi, “per tutta la notte è continuata l’opera di soccorso dei feriti che si sono dovuti recuperare, per la massima parte a braccia”.
“Alle 10 del giorno successivo, una formazione di 38 bombardieri colpiva violentemente la parte sud – est della città”. Il calvario non era ancora finito. Anche tra il 6 e il 7 ci fu “un bombardamento notturno in grande stile”. A creare ulteriori problemi, furono le truppe tedesche. Proprio gli ultimi reparti operarono da guastatori. “Nelle prime ore del pomeriggio del giorno 7 – è sempre il diario di Fornaci – alle esplosioni delle bombe, cominciarono ad aggiungersi gli scoppi degli attentati contro opere che potevano avere interesse militare”, Caddero alcuni ponti e saltò in aria la polveriera di Sabbione. Terni era ormai pressoché deserta. Fornaci calcola in circa 2500 le persone rimaste, “che vivevano nei rifugi più sicuri”. Non furono privi di bombe, neppure i giorni successivi. Poi finalmente il 14 giugno 1944, arrivarono le truppe alleate. Il lungo dramma era finito. Restavano le macerie materiali e morali da rimuovere. Ma, la volontà e la tenacia fecero il miracolo.