Di Adriano Marinensi – Il ragionamento che segue sarà pure inadeguato, logicamente policromo, però un nesso di coerenza ce l’ha. Non fosse altro per i riferimenti alla realtà quotidiana. Quindi respingo da subito l’accusa d’essere passato, nello svolgimento, da palo in frasca. Comincio così. Forse per farsi perdonare l’ecatombe dei pini operata, a Terni, nell’ultimo periodo, i nuovi “affittuari” di Palazzo Spada hanno (lodevolmente) riaperto all’uso pubblico il Parco delle Grazie, punto di notevole riferimento ambientale e valore storico, rara oasi di natura e silenzio in una città dove ha rilievo l’inquinamento atmosferico e il rumore rimbomba. Mentre, in Regione, si torna a costituire l’ennesima Commissione d’inchiesta per indagare l’aria che si respira nell’area ternano narnese.
Ecco ancora il punto centrale sui pini abbattuti, a Terni: tutte quelle “essenze arboree”, messe insieme, formavano una enorme e salubre pineta. E noi l’abbiamo distrutta. Distrutta persino per realizzare operazioni di livellamento del manto stradale a testimonianza di un pensiero amministrativo che privilegia lo scorrimento veloce del traffico rispetto alla tutela della flora urbana. Mentre ogni “intervento pesante” sul patrimonio verde è attentato alla salute pubblica. Purtroppo l’operazione kaputt è avvenuta nella quasi assenza di doverosa contestazione.
Il domani di un habitat, come quello ternano, gravato dall’impatto delle sue grandi aziende, della circolazione caotica, della concezione urbanistica legata al principio di ogni “spiazzo” un palazzo; l’impatto è pesante e abbisogna di serie azioni di contrasto. Più che altrove, abbiamo l’esigenza primaria di coniugare lo sviluppo economico (se riusciremo a realizzarlo e non è affatto scontato) con la ormai ben nota compatibilità ambientale. Benessere, ordinata mobilità, riqualificazione sono soltanto alcuni dei termini del vocabolario che deve guidare la crescita, dare armonia alla vivibilità. Altrimenti si rischia di omologare la oggettiva condizione precaria.
Terni fa parte delle cosiddette smart city, ma molti dei vantaggi legati alla dimensione ci sono sfuggiti; in diversi settori strumentali e strutturali, ormai da tempo, stiamo segnando il passo. Gli spazi occupazionali si sono ridotti, la mancanza e la perdita di posti di lavoro hanno creato nuove povertà soprattutto nelle fasce sociali più esposte. Va rafforzato il sentimento del mutuo soccorso ed il significato di comunità. Oltre ad un aumento delle risorse negli interventi pubblici. C’è necessità di elevare il livello del governo locale e del fare politica con idee coraggiose e provvedimenti efficaci che facciano da volano al rilancio complessivo. Durante gli ultimi mandati amministrativi, neppure le iniziative di promozione culturale hanno fatto notevoli passi avanti. Non siamo cresciuti né in quantità, né in qualità. Nel sociale, è mancata una visione aperta ed avanzata nella programmazione di sostegno. Occorre riaprire un confronto partecipativo generale per consentire la collaborazione delle componenti attive della società civile. I giovani in particolare vanno stimolati ad andare ben oltre la movida, offrendo loro occasioni di utile protagonismo.
Abbiamo un altro compito pregiudiziale: portare celermente a buon fine le “i lavori di lungo corso” rimasti, da troppo tempo, nel limbo delle opere infinite. Per quanto riguarda la classe dirigente (politica, amministrativa, sindacale), si pone l’esigenza di una energica azione coordinata che faccia da volano allo sviluppo. E sappia marcare la differenza tra l’avanzamento e la stasi, tra l’avvenire dinamico e la conservazione statica. Infine, è la città, nel suo insieme, che deve essere chiamata a reagire attraverso una autorevole riassunzione di responsabilità. L’opposto del disimpegno, che nuoce fortemente alla democrazia.
Nella gestione del potere, si impone una “rilettura” del ruolo di Terni in ambito regionale, un riequilibrio delle risorse pubbliche disponibili. In Umbria dobbiamo riscoprire lo spirito della Regione pensata all’origine, al fine di attuare una progettazione propulsiva unica per l’intero territorio, in ogni settore di attività, liberata dai “nepotismi” impropri. Nell’epoca storica che ci sta facendo diventare tutti cittadini europei, l’essere tutti umbri è un obbligo etico, oltre che politico. Qualunque dualismo rimosso.
A Terni, c’è una idea di futuro da rilanciare, facendo squadra – lo scrivo come s’usa dirlo in politichese – con tutti i “giocatori” disponibili e motivati per allontanare il pericolo di una retrocessione omologata. Non è questa una notazione sportiva, invece una parafrasi succinta e sintetica della staticità di ideazione che dura da troppo tempo e si è di recente aggravata, facendo venir meno nei cittadini l’orgoglio dell’appartenenza comunitaria.
Ed eccolo il solito Post scriptum un po’ fuori tema. A commento del mio articolo intitolato “In Emilia Romagna, hanno vinto il popolo e la democrazia”, Giacomo Porrazzini, già apprezzato Sindaco di Terni, mi ha inviato un messaggio di elevato contenuto. Sostiene tra l’altro: “Resta purtroppo il problema del “salvinismo” ovvero l’ampia propensione di milioni di italiani e di tanti giovani nel credere ad un ciarpame politico che puzza di ventennio.” La questione centrale è proprio questa: l’alta percentuale di elettori che continua a dare il proprio consenso non ad una linea politica, quanto invece ad una “predicazione” di basso profilo storico e morale. E purtroppo, ad elevare quella percentuale, ci sono troppi giovani i quali dovrebbero essere l’avamposto di difesa della democrazia, governo del popolo.
Un popolo strumentalizzato dal “salvinismo” che lo invoca costantemente alle urne come mezzo subdolo di conquista del potere, da gestire poi in forma autocratica, in avversione ai valori della solidarietà, della tolleranza, della concordia sociale, della cooperazione internazionale. Un fare politica di stampo elitario, sciovinistico, in alleanza ideologica con forze nazionali ed estere, alcune ispirate a modelli di organizzazione civile che la storia ha rigorosamente censurato. Proprio nel quadro nazionale – mentre il centrosinistra continua a muoversi con il fiato corto e in ordine sparso – diventa sempre più ipotetico respingere l’assalto della destra unita. Oggi, siamo costretti a considerare quella di Berlusconi (che è in piena decadenza) la “destra buona”, mentre l’altra estrema sta oltre il limite del 40%. Un pericolo reale per l’Italia che rischia di finire alleata dei Paesi sovranisti e antieuropei, alla corte dell’antiecologista Trump.