Hanno patteggiato la loro condanna a due anni di reclusione (pena sospesa) Andrea Montrone e Maurizio Agneletti, i gestori del diving Abc di Talamone che fornì le bombole ai sub perugini Fabio Giaimo, Enrico Cioli e Gian Luca Trevani, morti il 10 agosto del 2014 nelle acque delle isole Formiche di Grosseto.
Dunque niente dibattimento e chiusura del processo con 2 anni di patteggiamento e pena sospesa: non ci sarà carcere, non ci saranno modi alternativi di espiare. Due anni esattamente come quelli proposti all’udienza preliminare del 24 luglio 2015 e non accettati dalla Procura.
Dalle indagini del pm Arianna Ciavattini è emerso che la causa della morte dei subacquei è stata l’intossicazione dovuta al monossido contenuto nelle bombole.
Uscite di scena le parti civili già alla precedente udienza grazie al risarcimento offerto da Montrone, accettate dagli imputati le remissioni di querela connesse alle lesioni, la vicenda si sta avviando a conclusione su binari del tutto diversi da quelli che si erano prospettati all’inizio.
Adesso la pena è la medesima ma il percorso è diverso: è una rinnovazione. Si parte, come specificato dal pm Arianna Ciavattini alla precedente udienza, dall’eliminazione di due aggravanti, quella della previsione dell’evento (colpa cosciente) e della violazione di una norma antinfortunistica (il caricamento delle bombole con rischi per la popolazione). La pena base è di 3 anni, sia per il titolare del diving sia per il suo collaboratore, per la morte in astratto più grave, la morte di Fabio Giaimo, nelle cui bombole c’era una concentrazione maggiore di monossido. Poi intervengono la riduzione di un terzo per le attenuanti generiche (prevalenti per Montrone, semplicemente applicate per Agnaletti che ha solo la colpa cosciente) e il concorso formale per la morte degli altri due sub, Gianluca Trevani ed Enrico Cioli che riportano a tre anni la pena. La scelta del patteggiamento, con lo sconto di un terzo, porta il conto finale a 2 anni.
In aula c’erano tutti: Agnaletti, Montrone e la moglie di quest’ultimo, Daniela Lucciola, difesi rispettivamente dagli avvocati Massimiliano Arcioni, Riccardo Lottini e Romano Lombardi.