PERUGIA – Per l’ottavo centenario della fondazione del Monastero di Monteluce, luogo sacrato alla memoria storica di molte generazioni di perugini che sono stati ospiti dell’annesso ospedale, Salvatore Silivestro, presidente nazionale A.Gi.Mus, ma anche fervente parrocchiano, ha voluto disporre un cartellone di incontri musicali destinato a raccogliere nella sala di via del Giochetto, in quello che era l’antico coro delle monache, gli esponenti di una comunità consapevole e coesa. Non senza far riferimento alla figura carismatica di Monteluce, don Luciano Tinarelli, presule della statura umana di un sant’Ambrogio, o, perché no, di un sant’Ercolano.
E’ grazie a questo sacerdote forte e tenace che più di cinquant’anni fa si sviluppò una corale che lo scorso anno ha traguardato un invidiabile primato, forte ancora della presenza di non pochi cantori “fondatori” che allora erano poco più che ragazzi.
La formazione vocale Suavis Sonus che abbiamo ascoltato sabato sera in un bellissimo concerto all’ora dell’aperitivo, scaturisce da quelle esperienze e si raccoglie attualmente sotto il gesto direttoriale di Andrea Burini, maestro garbato per quanto autorevole, forte di notevoli esperienze formative e animato dall’entusiasmo necessario. Ricordiamo come, dal 1994, il Suavis Sonus abbia percorso un bel cammino, prestandosi tra l’altro, a una esperienza di rilievo come la promozione del International Choir Festival animato dalla presenza di uno dei più autorevoli direttori di livello internazionale, lo svedese Gary Graden. Un maestro che vediamo da anni nella stagioni della Sagra Musicale Umbra e che ha plasmato una intera generazione di direttori umbri.
Il programma scelto da Burini e dai suoi cantori rifletteva i gusti e le tendenza della corale. Inizio con uno splendido esemplare di canto gregoriano, il “Miserere omnium Domine”, dominato dalla sinuosa dinamica impressa dal direttore, ma anche contrappuntato, con molta pertinenza da un pianista greco, Lefteris Misirgis, che, dalla tastiera del pianoforte, ha tropizzato il canto con risposte improvvisative di carattere jazz. Seguito con un Palestrina, il mottetto “Domine, quando veneris”. Qui la densità marmorea dello spessore vocale, una carnalità alabastrina, si torce come una scultura berniniana esemplificando quelle luci e ombre del barocco romano con tutto il suo appagante splendore.
C’è molta oscurità in questa grande aula delle monache, ma la sonorità è buona e, soprattutto, c’è una convinta presenza di pubblico parrocchiale, a testimonianza del fatto che qui a Monteluce, ogni gesto e ogni iniziativa di carattere comunitario vengono condivisi da una collettività che non ha eguali nei rioni cittadini. E’ per questo che, come si è sostenuto poco prima dell’inizio del concerto, si aspetta con ansia l’inizio dei lavori nella splendida chiesa lesionata dal terremoto e si auspica la fruizione dei bellissimi affreschi presenti nella parete orientale del vasto salone.
Il concerto prosegue con ritmo vivace. Dapprima un raro Alessandro Scarlatti, un “Esaltabo Te Domine”, enfatico come era nello stile del grande maestro palermitano. Poi un Mendelssoh quanto mai pregevole, “Jauchzet dem Herrn”, fervido e altisonante. Gradualmente il programma ripiega verso la modernità, a partire da un Bettinelli raffinato dello Jesu Dulce, per poi approdare alla contemporaneità, con Duruflé, Willcocks, Darke, Busto e Johnson.
Stefano Ragni