Sperello di Serego Alighieri è un astrofisico che si occupa di galassie e di cosmologia. Lavora all’Istituto Nazionale di Astrofisica di Arcetri, una borgata collinare a meridione di Firenze, luogo già sacrato dalle memorie di Guicciardini e di Galilei, che vi morirono, a distanza di un secolo, ambedue esuli.
Serego Alighieri ha lavorato per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) sia in Olanda che in Germania: nel corso della sua ultratrentennale attività ha realizzato, tra l’altro, il prototipo dello strumento che ha consentito all’ESA di partecipare alla costruzione del telescopio spaziale Hubble. Prima di approdare al prestigioso incarico nell’osservatorio di Arcis Veteris è stato anche il primo direttore del centro Galilei per il controllo dell’omonimo telescopio realizzato nell’isola di Las Palmas. Vive, quando non viaggia, nella villa Aureli, la dimora di famiglia, a due passi da Castel del Piano.
Abbiamo ottenuto un incontro per propiziare l’ingresso della nostra città nell’alveo delle celebrazioni dantesche che, nel prossimo anno, saranno uno delle facciate di eccellenza con cui l’Italia si presenterà alla comunità culturale e scientifica internazionale.
Professore Serego Alighieri, il suo nome le consentirà di entrare da privilegiato nell’agone di ogni manifestazione dantesca. Non è ignoto a nessuno come Dante e la sua immensa eredità spirituale abbiano la potenza di un valore condiviso nel mondo intero. Nel corso della storia la Divina Commedia è passata tra milioni di mani ed è stata oggetto della più disparate letture. A qualcuno è servita anche per sbarcare il lunario. Come è noto Lorenzo da Ponte, il celebre librettista mozartiano, esule nei primi anni dell’800 a Nuova Jorca (New York) sopravvisse insegnando l’italiano ai giovani cittadini abbienti delle neonata metropoli. La Columbia University, grazie all’interessamento del figlio del rettore, Moore, gli conferì la “teaching position”, una sorta di libera docenza, che il geniale veneto onorò spiegando l’italiano proprio sul testo della Divina Commedia. La sua prima lezione ebbe luogo, come narra nella sue Memorie, il 15 dicembre del 1806.
Anche se lei non si considera un professore, per aver sempre svolto la sua attività in centri di ricerca, sappiamo che in sue recenti ricerche ha diffusamente parlato dell’astronomia nel poema divino.
La prima domanda complementare alle successive, è proprio quella di sapere come lei sia arrivato alla sua attuale posizione di scrutatore di corpi celesti.
«Ci sono arrivato tardi. A Perugia ho frequentato il Liceo classico Mariotti. Mi piaceva molto il greco, ma anche la matematica e la fisica. Dopo la Maturità, nel 1970, ho provato ad entrare nella Scuola Normale di Pisa per matematica. Eravamo più di 200 candidati per 5 posti. Sono riuscito a passare lo scritto e ad entrare fra i 10 dell’orale, ma poi non mi hanno ammesso. Allora mi sono iscritto a Fisica all’Università di Pisa, che ho frequentato con grande soddisfazione, per tre anni. Poi dovevano scegliere una specializzazione per la laurea. A Pisa andava per la maggiore, all’epoca, la fisica delle particelle. Ci avevano portato in visita al CERN di Ginevra , ma a me non piaceva. Allora mi è venuto in mente di rispolverare il mio interesse per l’astronomia che mi aveva passato, da bambino, mio padre, anche lui appassionato. Mi aveva insegnato le costellazioni e mi aveva comprato un telescopio quando ero alle medie. A Pisa avevo sostituito l’esame di meccanica razionale con uno di astronomia, corso che teneva il prof. Elio Fabri, un insigne fisico teorico, e che mi era molto piaciuto. Ma era l’unico esame di carattere astronomico che ci fosse a Pisa. Quindi mi sono trasferito a Padova, al corso di laurea in astronomia, dove mi sono laureato nel ‘75 col massimo dei voti e la lode. Da allora non ho più lasciato l’astronomia».
Dottor Serego, nel suo splendido libro di recente pubblicazione Alessandro Barbero, trattando di Dante e la modernità, se ho capito bene, parlerebbe della sua discendenza da parte matrilineare. Mi chiarisca cosa intenderebbe asserire l’insigne studioso.
«Dante, in esilio da Firenze, aveva vissuto a lungo a Verona, ospite degli Scaligeri. Suo figlio Pietro era giudice a Verona e nel 1353 comprò un terreno a Gargagnago, in Valpolicella. Questo terreno è tuttora di proprietà della mia famiglia. Poi, nel ‘400 vi venne costruita una villa. Mio padre è nato lì. Ora è di proprietà di mio cugino Pieralvise, figlio del fratello maggiore di mio padre. Nel ‘500 era rimasta solo una discendente femminile di Dante, Ginevra Alighieri. Che nel 1549 sposò Marcantonio di Serego. Lo zio di Ginevra, Francesco Alighieri, ultimo discendente maschio di Dante, lasciò in testamento a Ginevra, oltre ad alcune proprietà fra cui quella di Gargagnago, anche l’obbligo di unire al cognome di Serego quello di Alighieri, per i suoi figli e i suoi discendenti. Quindi la mia discendenza dal Poeta è tutta per linea maschile, tranne che per il passaggio da Ginevra».
Bene. Chiarito questo, è ovvio che, a poche settimane dall’inizio dell’anno dantesco, un evento semplicemente mondiale, sia da considerarsi un fatto molto importante avere qui, a due passi da Perugia, una famiglia che rappresenta la presenza, in tempi moderni, dell’eredità di un personaggio che è concretamente un patrimonio dell’umanità. Portare questo cognome, sin dai tempi del Liceo, il classico Mariotti, dove per tre anni si leggeva la Divina, le ha mai creato concretamente dei problemi? In una frase, come ci si sente ad essere discendenti di Dante?
«In effetti portare il cognome di un grande come lui è una cosa che può pesare. Nonostante che il cognome sia scritto per intero nella mia carta d’identità (quindi non lo posso evitare) all’epoca della scuola quasi sempre la parte Alighieri veniva omessa, e io non me ne lamentavo, anzi ne ero contento, sia per l’imbarazzo, che per il desiderio di dimostrare chi fossi indipendentemente dagli antenati. Solo da grande mi sono riconciliato con questo enorme onere/onore, ma non ho mai dimenticato i versi di Dante che erano riportati su un segnalibro che mio padre mi regalò quando cominciavo a leggere:
O poca nostra nobiltà di sangue /
ben se’ tu manto che tosto raccorce: sì che, se non s’appon di dì in die /
lo tempo va dintorno con le force (Paradiso, XVI)».
Dottor Sperello, la consapevolezza di essere collocato in una successione storica che affonda le sue radici nel Medioevo, ha avuto una influenza caratterizzante nella sua personale formazione umana e sociale?
«Non direi, anche perché ho seguito la strada della scienza, non quella della letteratura. Solo in tempo relativamente recenti mi sono riavvicinato a Dante e mi sono interessato dei passi astronomici nella Divina Commedia e nel Convivio. Però è chiaro che le influenze degli antenati possono avere effetti profondi che nemmeno io so riconoscere».
La sua professione di astronomo, mi consenta, un mestiere del tutto eccezionale, apre una interessante prospettiva su quanto di cosmologico è presente sia nella Divina, che, come diceva lei, nel Convivio: ripetutamente il suo antenato fa riferimento alla Armonia delle sfere una concezione filosofica dei rapporti tra le terra e l’universo. La chiave di lettura che scaturisce dalle posizioni pitagoriche e, in particolare, dal Timeo di Platone, viene da lei esperimentata ogni volta si accinga e a dialogare con le stelle e con i pianeti Sono certo che lei sia in avanzato stadio di stesura di un testo con cui, da moderno indagatore, si pone in relazione creativa con la scrittura ddl suo avo.
«In effetti, come dicevo, mi sono interessato a Dante astronomo. Recentemente Marcello Ciccuto, eminente dantista e presidente della società Dantesca di Firenze, di cui faccio parte, mi ha chiesto di scrivere un volume sulla Cosmografia dantesca, per una collana specifica da lui curata e che il quotidiano “La repubblica” pubblicherà e distribuirà insieme al giornale a partire dal prossimo anno. Ho avuto dei dubbi se accettare, perché sono tutt’altro che dantista e su un poeta come Dante è già stato scritto di tutto, quindi è assai difficile aggiungere qualcosa, anche per degli esperti. Poi mi ha convinto il fatto che un in volume distribuito su un quotidiano non serve “scoprire la ruota” ma basta raccogliere quanto già c’è e raccontarlo in maniera chiara e accattivante. Mi sono trovato un bravo collaboratore, il collega Massimo Capaccioli, che è stato direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli, e che ha scritto una sezione sull’evoluzione delle conoscenze astronomiche fino a Dante. Insieme abbiamo finito di scrivere il testo e siamo in attesa di collaborare con gli editori de “La repubblica” per la stesura finale».
Cosa si aspetta in questo particolare momento di “umanità smarrita” da un confronto con la eredità filosofica e poetica dantesca? Leggere Dante ci fa ancora sperare in un mondo migliore?
«La scrittura del volume sulla Cosmografia dantesca mi ha costretto a rileggere la Divina Commedia. Ora lo posso fare con l’esperienza di una vita e di una carriera. E’ incredibile quanto Dante, dopo sette secoli, sia ancora attuale. Lo so, questo sembra un luogo comune, ma chiunque se ne può rendere conto di persona leggendo. L’altra caratteristica del genio è che lo si può leggere da tanti punti di vista e trovarci sempre cose nuove. Quindi ognuno tira Dante per la giacchetta dalla sua parte, il che non sempre porta a un mondo migliore».
Se potesse parlare col suo antenato cosa gli chiederebbe?
«Gli chiederei di farci trovare qualcosa scritto di suo pugno. Infatti non abbiamo ancora trovato nulla scritto da lui. Tutte le sue opere sono state tramandante da altri».
Il dottor Serego Alighieri anche in queste giornate di pioggia non demorde dalla sua passione dell’escursionismo, anche se esercita il suo deambulare in maniera molto più distesa del suo antenato, il “ghibellin fuggiasco”. A giudicare dalle molto foto diffuse la sua vita familiare, quando scende “dalle stelle”, è allietata da un cane, una pecora e un asino, componenti essenziali, pare, dell’eufonia della sua vita. Ci mancherebbe la musica, ma qualcuno ricorda come, in anni lontani, il maestro Tullio Macoggi, estroso e geniale pianista, fosse solito frequentare Villa Aureli per tenervi autentici concerti “en plai air”.
Questo sarà certamente oggetto di una ulteriore intervista in cui il dottor Serego Alighieri potrà, se vorrà, fare ricorso alla sua memoria di adolescente.
Stefano Ragni