Di Adriano Marinensi – La notizia diffusa qualche giorno fa cominciava in questo modo: “mafia e massoneria, logge ufficiali e logge coperte, cosche e politica, accordi tra clan e piani alti della P.A. per detenere il potere”. Mi ha fatto tornare alla mente – anche se il parallelo appare improbabile – quanto accadde, in Italia, circa 40 anni orsono. Anche nella fattispecie, la massoneria aveva la emme iniziale minuscola e fece correre alla Repubblica ed alla Democrazia (con le iniziali maiuscole) un pericolo per niente marginale. Si verificarono fatti che misero il Paese un balia di potentati illegittimi, capaci di porre pezzi importanti dello Stato contro lo Stato. Una partita infernale tra l’autorità legale e l’autoritarismo illegittimo. Che mirava a far prevalere il governo dei forti, meglio dire delle consorterie deteriori.
Accadde tutto quasi per caso. C’erano due Magistrati che stavano indagando le malefatte di Michele Sindona, un soggettino poco raccomandabile, amico dei mafiosi, che ne aveva combinate d’ogni colore. Accusato negli USA di alcune decine di reati, lo condannarono a 25 anni di carcere; estradato in Italia, si prese addirittura l’ergastolo quale mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della fallita Banca Privata Italiana di proprietà dello stesso Sindona. Stava scontando la pena nel carcere di Voghera, fece colazione con un caffè (al cianuro) e ci rimase stecchito. Ma torniamo ai due inquisitori (si chiamavano Colombo e Turone) ed alla loro indagine. Dentro al ginepraio finì anche il Venerabile (mica tanto!) Maestro della Massoneria Licio Gelli, finanziere d’assalto e molto altro peggio ancora. Abitava una ragguardevole villa in Toscana, a Castiglion Fibocchi. La perquisirono e tra le carte sequestrate comparve pure uno strano quanto numeroso elenco di personaggi di varia umanità, legati a centri di potere politico ed economico.
Venne fatto un riscontro perché la gran parte dei nomi registrati erano di autorevoli appartenenti al gota della burocrazia statale, del giornalismo, dell’alta finanza, insieme a Ministri in carica, Parlamentari, graduati con molte stellette e persino Magistrati. Tutti però iscritti con tanto di numero e data. La setta si chiamava Propaganda 2, in sigla semplicemente P2. L’Enciclopedia spiega: “La Propaganda 2 era una loggia massonica segreta; con Licio Gelli assunse forme deviate ed eversive”. La Commissione d’inchiesta, nominata dal Parlamento e presieduta da Tina Anselmi, la definì “organizzazione criminale”. Ovvia la domanda: Che ci facevano tanti “pezzi grossi” in quello “schedario” e per quale scopo s’erano associati? Intanto la notizia della “lista Gelli” e del suo contenuto fece scoppiare un putiferio. Molte poltrone, poltroncine e qualche strapuntino cominciarono a traballare; ci fu una rincorsa nella ricerca di giustificazioni personali, corredate da improbabili e incredibili smentite. La loggia c’era, eccome, neppure più occulta e pian piano ne venne svelato lo scopo: reclutare “potenti pedine”, non per giocare a dama, ma in funzione di un disegno oligarchico che avrebbe dovuto prendere in mano e manovrare le leve della politica. Operazione di destra autoritaria, molto ben messa e organizzata. Ne mostrò vanto il promotore Licio Gelli: Avevamo messe le mani nelle principali centrali di comando in Italia.
Una strategica operazione di affiancamento nel progetto antidemocratico fu il tentativo di conquista, avvenuto sempre nel 1981, della Editrice Rizzoli, proprietaria del Corriere della Sera. La Centrale Finanziaria Generale di Roberto Calvi – il “banchiere di Dio” trovato appeso per il collo, a Londra, sotto il Ponte dei Frati neri (18 giugno 1982) – tirò fuori un mucchio di quattrini ed acquistò il 40% del prestigioso quotidiano. Dopo questa stupefacente operazione, la “Rizzoli” ebbe tre proprietari: Angelo Rizzoli il 50,2%, la Centrale di Calvi il 40%, la svizzera Rothschild il restante 9,8%. Non era mai accaduto prima che una Banca d’affari, per di più impegnata in spericolate attività, acquisisse un autorevole organo di informazione. C’era dunque molta puzza di bruciato in tale operazione. Un bel po’ di questo bruciato ruotava attorno ad un Istituto di credito, il Banco Ambrosiano, presieduto da Calvi, con dentro una quota azionaria dell’immancabile IOR, la cassaforte del Vaticano. Del signor Presidente la stampa d’epoca scrisse: “Si tratta di un banchiere che, in un anno, riesce a smuovere 15 – 20 mila miliardi. Semplice impiegato dell’Ambrosiano negli anni ’50, in appena due decenni ha scalato il vertice, attivando un giro vorticoso di società anonime e misteriose.”
E la P2? Gli inquirenti sopracitati stavano cercando anche alcune centinaia di esportatori clandestini di valuta e trovarono quasi mille affiliati alla “premiata ditta” Gelli e compagni (tanti). Per essere precisi, alla loggia erano “affacciati” in 953. Le centrali politiche, di fronte a tanta roba, di primo acchito, si interrogarono: tacere o divulgare? Siccome ormai il mormorio s’era intrufolato troppo, si decise di divulgare. La notizia esplose con un rimbombo internazionale: grave tentato assalto alle Istituzioni italiane. E lo scandalo fu dirompente. Eugenio Scalfari aprì così, in quei giorni, un suo editoriale: “I casi personali dei 953 “fratelli” affiliati alla P 2 sono di grande importanza per tutto il Paese che vede un’ ampia porzione della propria classe dirigente associata ad una setta di malfattori.”
Malfattori forse è parola grossa, da ogni erba un fascio; però l’impatto della vicenda fu talmente forte da disorientare molte coscienze. C’era, dentro la ciurmeria, un po’ di tutto (può venir bene, direbbero a Genova). Autorevoli responsabili della vita del Paese – nel rito massonico – avevano promesso “inchino” al Venerabile Maestro. Come possibile? Un pasticciaccio veramente brutto. Ci fu chi andò a rileggersi la cronaca di un recente clamoroso, accaduto appena tre anni prima. Questo: Il Governatore e il Direttore generale della Banca d’Italia avevano ordinato una inchiesta negli affari (poco puliti) di alcuni “affiliati”. Gesto irriguardoso, tanto da motivare un Magistrato a dichiarare in arresto il Direttore ed incriminare il Governatore. Accadimento inusitato e senza precedenti. Tutto arbitrario, tutto fasullo e tutto finito in una bolla di sapone. C’entrava qualcosa la P 2? Un messaggio in codice? A pensar male si fa peccato, ma …
Insomma, in quel 1981, l’Italia rimase impigliata in un garbuglio di intrighi non completamente dipanati ch’ebbero per primi attori i componenti di un “triunvirato” di birbaccioni (Sindona, Gelli e Calvi) impegnati nel costruire un pericoloso potere occulto e prevaricante su quello popolare e democratico. Vinse alla fine la democrazia e la legalità. Però, nel presente momento di rigurgiti autoritari, di strabismo destrorso, non si sa se manovrati oppure no da dietro il sipario, opportuno mi è parso – seppure in estrema sintesi – il racconto di quel repentaglio. Per stare in campana.