Di Adriano Marinensi – Dice la saggezza dei proverbi: Quando sono troppi galli a cantare, non si fa mai giorno. Durante la prima metà del XVI secolo, in Europa, a “cantare”, nel senso di contendersi il potere, furono in tre e combatterono accanitamente. Dunque, oggi riparliamo di storia: storia intrigante. La vicenda, a volerla raccontare come fossimo in teatro (invece siamo sotto l’ombrellone), occorre presentare gli attori protagonisti. Sono il Papa Clemente VII; Carlo V d’Asburgo, poi Imperatore del Sacro Romano Impero; Francesco I di Valois, bellicoso Re di Francia. La prima “partita”- però di carattere politico – la giocarono Carlo e Francesco, quand’era in palio il titolo imperiale. La vinse Carlo, per via di una certa compravendita di voti sul tipo di quelle in uso ai giorni nostri. Alla ribalta di quel “politeama” luccicante di spade, una parte non secondaria ebbe Martin Lutero, l’araldo furioso della Riforma protestante che molti guai creò, con le sue 95 tesi affisse (1517) sul portone della Chiesa di Wittemberg, in Sassonia, contro il mercimonio delle indulgenze avviato da Leone X.
Un’ ampia pagina, nel libro di storia del tempo, se la prese pure Enrico VIII d’Inghilterra, quello delle tante mogli. Sposò per prima la cognata Caterina d’Aragona, madre della terribile Maria I Tudor, detta la sanguinaria. Tosto s’invaghì di Anna Bolena, damigella di corte. Il Sovrano le scrisse: “D’ora in poi, il mio cuore sarà dedicato a te sola”. Malgrado Papa Clemente gli avesse detto questo matrimonio non s’ha da fare, lui lo fece lo stesso e fece pure lo Scisma Anglicano. Anna diede ad Enrico un’altra figlia, la futura Elisabetta I, chiamata “regina vergine”, assisa sul trono britannico per quasi mezzo secolo (1558 – 1603). Il legame con Anna non durò a lungo. Accusata di adulterio, finì decapitata nella Torre di Londra. Appena eliminata Anna, il Re convolò a nuove nozze con Jane Seymour che fu regina per un solo anno; morì dando alla luce il successore di Enrico, Edoardo VI. C’era da riavvicinarsi agli anglicani e allora ecco il quarto viaggio all’altare con Anna di Cleves. Matrimonio lampo e divorzio breve. Per convolare a nozze con la diciottenne Caterina, figlia del potente Duca papista di Norfolk. Usando la stessa scusa costata la testa ad Anna Bolena, la tagliarono pure a lei. Ultimo matrimonio reale, quello con Caterina Parr. Forse ce ne sarebbero stati altri ancora se questo Landru ante litteram non fosse morto, nel 1547, a 56 anni.
Torniamo ora alle faccende guerresche tra Carlo V e Francesco I, al ruolo nient’affatto marginale svolto da Clemente VII (Giulio Zenobi, figlio naturale, poi legittimato, di Giuliano dei Medici, quello ucciso a Firenze – 1478 – nella Chiesa di S. Maria in Fiore, dalla Congiura dei Pazzi) ed alle cruente contese organizzate da questo terribile “triunvirato”. In mezzo a tanto configgere ci fu Roma, messa a ferro e fuoco da un esercito di nuovi barbari. Lo hanno chiamato appunto “il sacco di Roma”, una aggressione di violenza inaudita, al Papa ed alla città. Clemente, con le sue “alleanze variabili” aveva fatto arrabbiare Carlo, il quale gli mandò contro un’orda di birbaccioni. Si chiamavano Lanzichenecchi – in tedesco, lanzichenecco significava “servo rurale” – e proprio per sfuggire a tale servitù, in tanti diventarono mercenari. Giunsero a Roma, il 6 maggio 1527 e si diedero al saccheggio e ad ogni tipo di violenza. Forse si sentivano il braccio armato della fede pura e vendicatrice, della (a parer loro) corrotta Curia romana. Profanarono Chiese e luoghi sacri, asportando tesori e reliquie: andò perduto persino il famoso “Sudario della Veronica”. Il Papa aveva un nemico anche in casa: la famiglia patrizia dei Colonna (a sua volta, severa antagonista degli Orsini) e dai sui membri, simpatizzanti degli invasori, dovette guardarsi. I Colonna soffrivano oltremodo l’autorità del papato perché, poco tempo prima (1303), s’erano scontrati con Bonifacio VIII preso a schiaffi da Giacomo Colonna, detto Sciarra, nella residenza di Anagni.
Torniamo a Roma, dove i Lanzichenecchi stanno facendo fiamme e fuoco. Le cronache medievali parlano di 20.000 morti. Sono tutti luterani integralisti, i “lanzi” e quindi odiano i cattolici e soprattutto il Pontefice. Alla sua ricerca, entrano e violano pure la sacralità della Basilica di S. Pietro, uccidendo tutti quelli che si trovano all’interno. L’esercito inviato in Italia da Carlo, ha ormai invaso l’Urbe e Clemente si trova in serio pericolo. C’è un vicolo che unisce il Vaticano a Castel Sant’Angelo: lo chiamano “il Passetto” di Borgo, corridoio pedonale sopraelevato lungo circa 800 metri, fatto costruire da Papa Niccolò III nel 1277. Attraverso il camminamento, Clemente si mette in salvo dentro le inespugnabili mura. Le stesse che, nel 1494, avevano salvato dai francesi, Alessandro VI, Rodrigo Borgia, Papa e papà dei fratelli terribili Cesare e Lucrezia.
Clemente dovette poi arrendersi e fu imprigionato dentro un palazzo in Quartiere Prati. Luigi Gonzaga, detto Rodomonte, lo liberò, portandolo ad Orvieto. All’inizio del 1528, la orgiastica soldataglia lanzichenecca, decimata dall’epidemia di peste, decise di abbandonare Roma. Francesco Guicciardini scrisse: “La barbarie tedesca perpetrò infiniti vilipendi. Era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, il sacco fosse asceso a più di un milione di ducati”. Questo dissacrante attacco, di matrice protestante alla Santa Sede, spinse il successore di Clemente, Paolo III Farnese, a convocare il Concilio di Trento (1545), che dette avvio alla Controriforma, per controbattere la ingombrante presenza del monaco ribelle Martin Lutero, già scomunicato da Leone X.
In mezzo alla temperie romana d’armigeri selvaggi, trova spazio pure quel Fabrizio Maramaldo che, a scuola, ci insegnarono a disprezzare, essendosi fatto apostrofare da Francesco Ferrucci: “Vile, tu uccidi un uomo morto”. L’episodio – però potrebbe essere un falso storico – la tradizione letteraria lo dà per accaduto il 3 agosto 1530, durante la battaglia di Gavinana. Era scoppiata a Firenze una rivolta che aveva cacciato i Medici. Papa Clemente chiese a Carlo di restaurare la signoria della sua famiglia. L’esercito imperiale pose l’assedio alla città. Alla testa degli insorti, il comandane Francesco Ferrucci tentò di rompere l’accerchiamento, ma venne sopraffatto, ferito gravemente e fatto prigioniero. Il Maramaldo, ch’era al soldo dell’invasore (fossimo ai tempi nostri, lo potremmo aggettivare nazista), ordinò di condurlo sulla piazza di Gavinana e all’inerme nemico procurò la morte.
Intanto, sul “quadrante” europeo (e pure in Italia) Carlo e Francesco continuavano a darsele di santa (meglio profana) ragione. Le loro contese proseguirono su diversi fronti. Si giunse alla firma della pace di Cambrai (1529) detta “delle due dame”, perché contrattata da Margherita d’Austria, zia di Carlo e Luisa di Savoia, madre di Francesco. E Clemente? Per riconquistare l’importante amicizia di Carlo, gli mise in testa, in forma ufficiale, la corona di capo supremo del S. R. I., fondato da Carlo Magno nell’800, definito sacro onde contrapporlo a quelli bizantino e musulmano.