di Bruno Di Pilla – In Umbria l’acqua, bene di primissima necessità, scarseggia. Perdurando da mesi la siccità ed essendo i cittadini costretti, dal coronavirus, agli “arresti domiciliari”, è necessario che ognuno di noi prenda coscienza di quanto importante sia un uso responsabile dell’oro bianco, assai più prezioso di quello giallo.
Il generalizzato allarme è drammaticamente testimoniato dai quotidiani monitoraggi del livello di laghi e fiumi, che sono in grave sofferenza per la penuria di piogge. Rinchiuse fra le quattro mura domestiche, le famiglie (specie quelle numerose e con figli a carico) non possono fare a meno di consumare acqua in gran quantità, con rubinetti in cucina, lavatrici, docce e servizi igienici sollecitati per l’intero arco della giornata. La stessa lodevole raccomandazione di lavarsi spesso le mani, ogni volta per almeno 40 secondi, fa sì che le riserve idriche regionali siano prossime al collasso, specie se il cielo primaverile dovesse continuare ad essere permanentemente terso e sgombro di nubi.
A questa palese emergenza s’aggiungano le note carenze strutturali delle condutture sotterranee, con dispersioni dell’essenziale liquido solo in parte ridotte in virtù dei continui lavori d’ammodernamento della rete intrapresi dagli operatori del settore. In sostanza, occhio agli sprechi ed alla maniacale apertura degli erogatori, nonché a consumi non strettamente indispensabili. Via i lavaggi di auto e mezzi di locomozione, tra l’altro quasi tutti inservibili ed in gran parte messi in quarantena dalle disposizioni di legge.
Alt anche alle reiterate irrigazioni di orti, giardini ed impianti sportivi. Se si dovesse giungere all’estrema misura dei razionamenti di “sorella acqua”, nostra fedele alleata nella dura lotta al virus, allora sì che l’obbligatoria permanenza in casa a tempo indeterminato si trasformerebbe in un’intollerabile carcerazione, con effetti ancor più devastanti sulla salute dell’intera collettività regionale. Acqua, “alma mater” nutrice che dà ed alimenta la vita.