Patrick George Zaki resterà in carcere per almeno 15 giorni. La decisione dell’accusa è stata quella di detenere il ricercatore in custodia cautelare per 15 giorni, in attesa di ulteriori indagini.
«Il ricorso è stato respinto dopo un’udienza di soli dieci minuti», ha detto uno dei legali del ragazzo.
Il tribunale di Mansura ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai legali dell’attivista e ricercatore egiziano di 27 anni, che studia all’Università di Bologna, arrestato al rientro in Egitto con l’accusa di danneggiare la sicurezza nazionale con la «sua propaganda eversiva».
Arrestato all’aeroporto del Cairo, Patrick George Zaky, secondo i suoi avvocati, è stato picchiato, sottoposto a scosse elettriche, minacciato e interrogato su varie questioni legate al suo lavoro e al suo attivismo. Nessuno, compresi i suoi genitori, è stato inizialmente informato del suo arresto.
Nel corso dell’interrogatorio, i pubblici ministeri hanno presentato un elenco di accuse contro Patrick, fra cui «pubblicare voci e false notizie che mirano a disturbare la pace sociale e seminare il caos; istigazione alla protesta senza il permesso delle autorità competenti allo scopo di minare l’autorità statale; chiedendo il rovesciamento dello stato; gestire un account di social media che ha lo scopo di minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica; istigazione a commettere violenze e crimini terroristici».
Zaki lavora per l’Egyptian Initiative for Personal Rights: dallo scorso ottobre ben sei membri dell’organizzazione sono stati temporaneamente detenuti per poi essere interrogati.
Quello di Zaki sembrerebbe essere un caso di detenzione arbitraria e violenta che sta preoccupando le organizzazioni internazionali e che sembra ricordare da vicino quello di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso dai servizi segreti egiziani quattro anni fa.
Con una lettera all’ambasciatore egiziano a Roma, Amnesty International ha subito espresso le proprie preoccupazioni per la situazione dello studente egiziano. «La sensazione è che si tratti dell’ennesima persecuzione verso un attivista politico: lo testimonia la storia di Zaky e la storia dell’Egitto sotto Al Sisi», spiega Amnesty International, che assicura che continuerà a seguire da vicino il caso, attivando tutte le iniziative utili. «In questa situazione di detenzione prolungata, con la scusa di condurre indagini, il rischio di tortura è elevato. Come in altri casi, il rischio è che i reati imputati a Zaky si riferiscano in realtà a legittime attività di denuncia, di informazione, di commento pubblico o critica: alibi per legittimare una procedura del tutto illegale».
Patrick resta dunque in una cella di sicurezza della vicina Talkha, nonostante l’immediato rilascio chiesto giovedì anche dal presidente del Parlamento europeo Davide Sassoli. Ma l’Europa, e Roma, vigilano. Insieme ai giornalisti lasciati entrare nonostante l’udienza fosse formalmente “a porte chiuse”, nella stanza c’erano i diplomatici di Italia e Svezia in rappresentanza dell’Ue che già monitora alcuni processi in Egitto. Con loro due colleghi di Usa e Canada. In camicia verde chiaro, con barba e occhiali, Patrick George Zaki è arrivato al tribunale di Mansura con ai polsi le manette. Entrando, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano come stava, “tutto bene” e si è mostrato combattivo: ha detto di essere solo uno studente che vuole ripartire per l’Italia per completare il master all’ateneo bolognese.
I legali hanno ripercorso davanti al giudice la dinamica dell’arresto confermando come fosse iniziato con un illegale e prolungato sequestro da parte delle forze di sicurezza. Poi hanno sottolineato la tortura, perpetrata anche con la bendatura degli occhi per 12 ore e l’umiliazione del denudamento, evidenziando anche l’assenza di una base legale per la detenzione motivata con la prova di dieci post pubblicati dallo studente su un suo account Facebook che però sarebbe falso.
«C’è delusione, avevamo sperato in un’esito diverso. C’erano segnali che potesse andare diversamente: un’aula piena di giornalisti, internazionali e egiziani, di diplomatici, italiani inclusi. Ma non è servito a nulla» ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «Adesso ripartiamo con una campagna ancora più forte, più viva, in vista dell’udienza del 22, quando Patrick tornerà in tribunale, per arrivarci ancora più determinati».
In tutta Italia si stanno svolgendo sit in e manifestazioni per il rilascio di Zaki.
Alcune migliaia di persone sono partite in corteo qualche minuto dopo le 18 dal Rettorato, in via Zamboni, nel cuore di Bologna, per chiedere la liberazione di Patrick George Zaky. Organizzato dalla consulta degli studenti dell’Università di Bologna, al corteo hanno partecipato anche Amnesty e alcuni collettivi. In testa il rettore Francesco Ubertini è il sindaco Virginio Merola.
“Sono contento che ci siano tutti questi cittadini – ha commentato il primo cittadino – è importante essere qui per chiedere la libertà di Zaky. Siamo una città dove l’università è nata prima, chi studia con noi non è ospite ma un cittadino”. “È il momento per l’Europa di farsi sentire come stanno facendo le università. Chiediamo con forza di riaverlo con noi – ha detto Ubertini – credo che questa sia una bellissima risposta”. I manifestanti, che hanno sfilato per le vie del centro fino a piazza Maggiore hanno gridato: “Se non lo liberate noi non ci arrendiamo”.