di Adriano Marinensi – Ai giovani, la notizia della morte del pugile Jake La Motta (si chiamava Giacobbe, figlio di emigranti italiani) non farà alcun effetto. Per chi invece ha i capelli bianchi richiama l’epoca di una boxe di sapore ardimentoso. Il tempo quando il Toro di Bronx – La Motta, appunto – uno dei ragazzi di strada della New York violenta, riscattò, a suon di pugni sul ring, le sue umili origini. Divenne, nel 1949, campione del mondo dei pesi medi e il mondo era ancora alle prese con il risanamento delle ferite di guerra. Non mancarono sul palmares le ombre proiettate da qualche match truccato. Davanti ad una Commissione del Senato ammise di aver fatto dei piaceri a Cosa nostra.
Durò 14 anni la sua carriera da professionista. Salì sul ring più di cento volte, con 83 vittorie delle quali 30 per k.o. Di grande risonanza le battaglie con un altro “divo” del ring, Ray Sugar Robinson (alias Walter Smith), molto popolare negli USA e anche in Europa, rimasto ai primi posti delle graduatorie di tutti i tempi: le hall of fame. L’ultimo combattimento tra i due lo chiamarono il “massacro di S. Valentino”. Quello di La Motta fu il periodo dei mitici pesi massimi Joe Louis e Rocky Marciano (un altro italiano d’origine, all’anagrafe Rocco Marcheggiano), quest’ultimo campione del mondo dei pesi massimi, ritiratosi imbattuto, dopo 49 incontri (43 k.o.).
La Motta conquistò il titolo dei medi il 16 giugno 1949, a Detroit, contro un’altra leggenda del quadrato, il francese Marcel Cerdan. Cerdan ebbe fama anche per una appassionata storia d’amore con Edith Piaf, artista famosa, una delle voci più suggestive del secolo scorso. E’ morto il 23 ottobre 1949, in un incidente aereo, mentre era diretto a New York per la rivincita contro La Motta. Aveva disputato 115 incontri, vincendone 111. A lui, la Piaf dedicò una struggente canzone d’amore.
In Italia Jake il terribile lo conoscemmo più da vicino quando incrociò i guantoni con Tiberio Mitri, detto la “Tigre di Trieste”, campione nazionale ed europeo. Fu boxer e attore. Mitri, Il 19 luglio 1950, al Madison Square Garden, il tempio sacro del pugilato americano, tenne testa al campione mondiale per 15 durissime riprese, perdendo però con onore. A differenza del suo avversario che di mogli ne aveva prese 6 o 7, non si sa bene (l’ultima quando aveva 90 anni), Mitri ne sposò due. La prima, Fulvia Franco, Miss Italia 1948, bionda e fascinosa, della quale era follemente geloso, lo piantò di li a poco tempo, gettandolo nella malinconia. Scese dal quadrato dopo 101 incontri (88 vittorie – 22 per k.o.).
Al cinema, l’apparizione più importante con Gassman e Sordi ne “La grande guerra”. Lo distrussero due avversari imbattibili: l’alcol e l’Alzaimer. Pure la sua fu una esistenza fuori dai binari. Sui binari, quelli veri, il 12 febbraio 2001, ritrovarono il corpo massacrato dal treno. Un quotidiano dette la notizia così: Tiberio Mitri, l’ultimo pugno dalla vita. In precedenza ne aveva incassati altri due tremendi: la morte del figlio Alessandro per droga e della figlia Tiberia uccisa dall’AIDS.
Ancora La Motta, in conclusione. Una vicenda di sport e di vita spericolata (prese 6 o 7 mogli, non si sa bene, l’ultima quando aveva 90 anni) e, alla fine, il Toro del Bronx divenne “Toro scatenato” (Raging bull), film girato nel 1980, con Robert De Niro nella parte di La Motta e la regia di Martin Scorsese: la carriera del campione e il suo declino, tutto un po’ romanzato, però eroico. E’ stato considerato un capolavoro e De Niro si guadagnò il Premio Oscar quale miglior attore protagonista. In precedenza, nel 1956, il pugilato aveva dato al cinema un’altra pellicola di notevole notorietà: “Lassù qualcuno mi ama”. Narrava di Rocky Graziano ( Rocco Barbella), amico di La Motta, campione degli anni ’40 del ‘900, picchiatore micidiale, idolo degli americani. Lo interpretò magnificamente, sullo schermo, Paul Newman. Sono nella storia del pugilato i 4 terribili scontri (è il termine adatto) disputati da Graziano con Tony Zale, finiti tutti prima del limite: 3 li vinse Zale, 1 Graziano. L’hanno chiamata l’arte nobile, però spesso è stata, soprattutto nel passato, una fossa dei leoni.