Nella Newsletter di Arpa Umbria è stato pubblicato un articolo apparso sulla Newsletter della Rivista Micron dal titolo : “Sta per formarsi il più grande buco dell’ozono mai registrato”, nel quale vengono indicate le conseguenze che ne deriveranno.
Nell’articolo si legge:
“Ce ne eravamo quasi dimenticati, del buco dell’ozono. Perché, rimossa la causa, pensavamo di esserci liberati anche degli effetti. E invece le cose, in quel grande sistema complesso che è il pianeta Terra, non sono (quasi mai) né lineari né immediate. E, infatti, questa primavera ormai prossima a venire sull’Artico si formerà il più grande buco dell’ozono – ovvero la più grande erosione di molecole triatomiche di ossigeno – mai registrata.
Secondo gli esperti consultati da Science, la rivista dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), nelle prossime settimane andrà distrutto il 25% dell’ozono stratosferico oltre il circolo polare artico.
Il buco dell’ozono si forma soprattutto ai poli e soprattutto in Antartide. Ma anche al Polo Nord l’erosione dello strato di ozono è significativa. I fattori dell’inedita estensione del buco dell’ozono artico in questa prossima primavera sono almeno tre.
Il primo è che nella stratosfera, tra 15 e 35 chilometri di altezza, continuano a fluttuare le molecole di origine sintetica: i famosi clorofluorocarburi (Cfc) e i loro parenti che, attraverso una serie di reazioni chimiche, attaccano e distruggono l’instabile molecola di ossigeno. Sebbene le Nazioni Unite ne abbiano decretato il phase out già alla fine degli anni ’80 del secolo scorso (Protocollo di Montreal del 1986, entrato in vigore il primo gennaio 1989), tutti i paesi, in buona sostanza, stiano rispettando l’impegno non produrli più, i Cfc e simili, continuano fluttuare nell’atmosfera perché hanno vita lunga. Lì abbiamo mandati nella stratosfera e lì resteranno ancora in gran quantità per i prossimi decenni.
Il secondo è che quest’inverno è stato particolarmente freddo, lassù nell’Artico. Questo non è affatto in contraddizione con i cambiamenti del clima e l’aumento della temperatura media alla superficie del pianta. Il gran freddo ha favorito, tra l’altro, la formazione di nubi di acido nitrico, un altro composto (di origine prevalentemente naturale) in grado di attaccare l’ozono. In genere, di questi tempi, la stratosfera sull’Artico si riscalda e così viene meno il vortice polare che intrappola le correnti fredde. Quest’anno sembra che il collasso dei vortici polari ritarderà. Cosicché il gran freddo nella stratosfera durerà un mese più della media.
Il terzo motivo è, tra tutti, quello più scontato. Con la primavera sulla regioni artiche ritorna la luce del Sole. E la radiazione luminosa è assolutamente necessaria per innescare la catena di reazioni chimiche che distruggono l’ozono.
In definitiva, freddo, luce e agenti chimici concorreranno, quest’anno più che più che mai, ad attaccare le molecole di ozono, distruggendone almeno una su quattro.
Gli scienziati hanno due preoccupazioni. La prima riguarda la salute umana. Perché l’ozono è un po’ il paradigma della complessità dei fenomeni naturali. Quando è presente nella troposfera – la parte più bassa dell’atmosfera, quella in cui vive la gran parte della biosfera, compresi noi umani – la molecola con tre atomi di ossigeno, essendo molo reattiva, rappresenta un pericolo. Si calcola, per esempio, che in Europa l’eccesso di ozono provochi ogni anni circa 21.000 morti premature e 14.000 ricoveri ospedalieri per problemi alle vie respiratorie. Al contrario, l’ozono diluito nella troposfera assorbe gli energetici raggi ultravioletti (UV) provenienti dal Sole, impedendo che arrivino a far danno agli organismi viventi, uomo compreso.
Di qui la prima preoccupazione: se di ozono ce n’è di meno in stratosfera, più raggi UV arrivano a Terra. L’esposizione a un eccesso di raggi UV fa aumentare l’incidenza di alcuni tumori, in particolare quelli della pelle. Dunque quest’anno il rischio cancro sarà maggiore nelle regioni artiche. Ma non di molto. In fondo gli eschimesi e gli altri abitanti del profondo nord saranno esposti a una quantità di raggi UV non superiore a quello cui siamo normalmente esposti quelli che, come gli italiani, abitano in regioni a clima temperato o tropicale.
La seconda e principale preoccupazione degli scienziati riguarda un’altra questione. Il fatto che l’inverno freddo sull’Artico, il ritardo della dissoluzione del vortice polare e la conseguente formazione di acido nitrico condensato in nubi – peraltro bellissime da vedere – siano associati ai cambiamenti del clima. E, dunque, la domanda è: tra gli effetti dei cambiamenti climatici ci sarà (c’è già) una più drastica estensione del buco dell’ozono?
Se così fosse l’intera biosfera sarà sottoposta a una forza selettiva che imporrà a specie ed ecosistemi di adattarsi o di perire. Insomma, l’evoluzione biologica subirebbe una non trascurabile accelerazione. Che nell’immediato vedrà, probabilmente, più vinti che vincitori. Ma anche noi, Homo sapiens, dovremo (imparare ad) adattarci al nuovo ambiente ricco di UV. E anche tra noi, probabilmente, i vinti saranno in numero maggiore dei vincitori.
Non c’è da fare allarmismi. Ma certo c’è da riflettere. Il buco dell’ozono è stato il frutto imprevedibile della messa in produzione di nuovi composti chimici. Ma non basta smettere di produrli, quei fattori di perturbazione, per ritornare alle condizioni di partenza. La natura raramente ritorna sui suoi passi”.