di Francesco Castellini – Perugia sta diventando sempre più terra di frontiera. Da queste parti ormai si vive in un clima di paura. La città è sempre più infestata da ladri e rapinatori senza scrupoli. In un breve lasso di tempo si è assistito alla moltiplicazione di scippi, assalti a persone anziane, aggressioni, rapine nei negozi, spaccate. Innumerevoli i furti nelle abitazioni. Auto scassate e depredate anche al parcheggio dell’ospedale. Il tutto condito da qualche furto di biciclette e di galline. E se è vero, come viene fatto notare dalla Regione, che nell’ultima decina d’anni da 37.856 fatti delittuosi siamo scesi a 31.970 in Umbria, è anche vero che la “sicurezza percepita” dalla popolazione non è affatto migliorata, anzi.
Perché si sa che i reati predatori, come le cavallette, come le zanzare, sono i più fastidiosi, sono le offese più difficili da digerire, quelle che producono maggiore allarme sociale. È evidente che è cambiata la natura del “male”. Se fino a qualche tempo fa si era in presenza di una malavita che agiva portando a termine una serie di colpi che necessitavano di esperienza e mestiere, adesso si è in presenza di una criminalità “disorganizzata”, costituita da una masnada di cialtroni senza scrupoli che si muovono alla cieca, accontentandosi di centrare anche obiettivi minimi, incoraggiati dal fatto che il più delle volte i loro crimini restano impuniti. L’efficace lavoro delle forze dell’ordine ha dato buoni frutti, ma non si può davvero pensare che il problema possa essere risolto solo affidandoci alle cosiddette “maniere forti”. I sociologi lo sanno bene che i mali che affliggono una città hanno radici diverse.
E a proposito basterebbe ricordare che la situazione è venuta a degenerare soprattutto nell’ultimo ventennio, guarda caso proprio negli stessi anni in cui lo spaccio cresceva e il centro si andava svuotando. Da una parte interi rioni sono andati desertificandosi: non solo le famiglie perugine li hanno abbandonati, ma anche i giovani, gli studenti, non ci vengono più volentieri nonostante le iniziative di operose e volenterose associazioni.
Sono i freddi numeri a parlare: fino a un po’ di anni fa nel centro storico abitavano più di 30 mila perugini. Ora ce ne sono meno di 6 mila. E allora basterebbe fare un giro di notte per i medioevali vicoli per comprendere che in fondo sì, tante cose carine sono state concepite e realizzate, ma ci si guarda intorno e sembra di vivere una rappresentazione scenica, uno studio di Cinecittà.
Le finestre delle abitazioni chiuse, le luci dei palazzi spente, un via vai di avventori che bazzicano i posti ben allestiti ma privi di anima, per poi andarsene senza lasciare traccia come dopo aver visitato un bazar. Una fiction che intristisce e che non lascia immaginare nulla di buono. E dunque bisogna chiedersi: quali sono le colpe della politica?
È evidente che tutto è stato decentralizzato senza opporre resistenza alcuna, senza una progettualità alternativa. E così i locali, i cinema, i centri commerciali, i negozi di prestigio, i bar notturni, tutto è stato trasferito nella periferia, senza che nessuno si sia posto il problema, senza tentare di creare politiche di contrasto, anzi in qualche modo favorendo la creazione di buchi urbanistici e dunque sociali, che di fatto hanno significato l’abbattimento di tutte le naturali barriere culturali contro la droga e il degrado. La verità è che non c’è una via di mezzo, non si conoscono alternative: Perugia tornerà a vivere e pulsare solo quando la massa di perugini si riapproprierà del suo territorio e dei suoi naturali spazi di condivisione e di convivenza.
(Pubblicato su Umbria Settegiorni)