Di Adriano Marinensi – Domenica scorsa ho acceso casualmente la T. V. è l’ho sorpresa non affaccendata a diffondere insulse ricette di cucina (l’incultura tecnologica). C’era invece Papa Francesco in pellegrinaggio al Santuario di Greccio. Una imprevista e gradita sorpresa. Greccio è paese mezzo sabino e mezzo umbro, una unione geografica legata al confine territoriale, ma ancor più spirituale per via dell’evento accaduto nel 1223 quando il Santo di Assisi “inventò” il Presepio. Ce lo ha ricordato il Pontefice, pubblicando per l’occasione, la straordinaria lettera apostolica Admirabile Signum con lo scopo di rammentare a tutti il valore della tradizione che, in passato, alla vigilia del Natale, ci vedeva impegnati a costruire, nell’armonia domestica, la sacra rappresentazione della Natività. “E’ come un Vangelo vivo – ha scritto – che trabocca dalle pagine della Sacra scrittura, il segno caro al popolo cristiano che, da sempre, suscita stupore e meraviglia.”
Le Fonti francescane raccontano ciò che avvenne a Greccio nel 1223. Spiega il Papa: “Francesco chiamò un uomo del posto e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio. Gli disse: Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme …. come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno, tra il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile davanti alla scena del Natale. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine; il Presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.” Aggiunge il Pontefice: “Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia, per lasciarsi avvolgere nel silenzio.” Ecco, proprio il silenzio lassù esalta la bellezza del paesaggio e invita alla riflessione sulle cose di questo mondo.
Dunque, Greccio, S. Francesco, il Pontefice che ne porta il nome e i valori che il Presepio esprime con quel Bambino nella mangiatoia (in latino si chiama appunto praesepium) a braccia aperte verso gli umili pastori accorsi all’annuncio dell’Angelo: E’ nato il Salvatore! Sono andato a ricercare un breve articolo che ho scritto in occasione di un altro fine anno. Comincia così: “Un tempo di Natale ridotto a luminarie, vetrine scintillanti, pubblicità commerciale, mi immalinconisce. E’ un Natale senz’anima”. Perché, penso, a quanto importante era per noi fanciulli e quanto invece la modernità ha “inveito” su quei significati, su quei nostri sussulti, sulla naturalezza dei sentimenti, sulla sincerità delle funzioni-
“Dinnanzi al Presepio – dice l’articolo – si ritrovano un po’ tutti con devozione oppure con il pensiero riverente, per il senso di armonia che esso diffonde con le immagini ed i canti. Non è raro ascoltare le soavi note di Astro del Ciel, quasi una invocazione che sollecita alla concordia ed alla serenità, sentimenti rari nel vivere di oggi. Sono convinto che il nuovo per forza non riuscirà mai a cancellare la suggestione e la magia del Natale, il profilo più alto della pace.” E ancora la vocazione dell’Umbria e il messaggio del suo Santo: “Il Natale richiama il Presepio e S. Francesco d’Assisi, il fratello di ciascuno, dell’uomo e della natura, mendicante d’amore, modello esemplare di giustizia, di magnificenza nella povertà.”
La sollecitazione di Papa Francesco alla riscoperta del Presepio, come elemento di unione non soltanto cristiana, riconduce all’Umbria ed alle sue usanze legate al Natale. “A parte i Presepi monumentali delle Basiliche – ho scritto – tanti altri meriterebbero la citazione. E allora, solo per esempio, quelli che raccolgono l’ossequio della fede a Città della Pieve, a Penna in Teverina e nei Comuni dell’Amerino, a Montefranco, a Massa Martana. Oggi, come in passato, delle atmosfere emergenti dai Presepi si ha bisogno, perché vengano rimossi gli egoismi, le discriminazioni, le intolleranze, le crescenti forme di disagio economico e sociale.”
Ho ricordato in quell’articolo anche l’importanza delle tante raffigurazioni di scene natalizie nell’arte dei principali pittori umbri, quadri e affreschi eccelsi che impreziosiscono le Cattedrali e i luoghi sacri della regione. Danno risalto alla nostra cultura ed anche alla storia di un popolo che ha molte radici nel sacro e perpetua usi atavici di profonda spiritualità. C’è pure, in quelle tradizioni, l’aspetto legato alla “materialità”. Però, non estranea, per nulla somigliante a quella di oggi della quale si è lamentato Papa Francesco nella Admirabile Signum. La materialità della mia giovinezza era lo stare insieme attorno al focolare, più generazioni a convito, il chiamare a voce spiegata i numeri della tombola, l’arrostire sul fuoco scoppiettante le succulente carni del maiale appena “assassinato” di coltello. Tra le “presenze d’epoca”, c’era il suono melodico degli zampognari che seguivano, lungo le strade, dopo alcune settimane, l’incalzante belare della transumanza.
La notte di Natale, in casa mia, si consumava, nel grande focolare il ceppo d’ulivo (benedetto, diceva mia nonna, che arde verde e secco); tentava, spesso invano, di scaldare l’ambiente domestico, “spifferato” dalla tramontana attraverso porte e finestre non a perfetta tenuta. “Per i più piccini – traggo ancora dall’articolo precedente – in trepida attesa, Babbo Natale scendeva dal camino. Al presente, i camini, nell’edilizia grigia di cemento armato, sono pochi e malagevoli. Non può più passare dal comignolo (neppure la Befana) e le porte sono quasi tutte blindate.”
A proposito di cose del passato e di case contadine, ha raccontato in un libro il mio compianto amico Sandro Boccini che, nelle piccole comunità rurali, per far entrare chi aveva bussato, bastava dire “Avanti”. Durante il giorno, l’uscio era sempre aperto. In tempo corrente, guai a non girare la chiave nella toppa. E’ sparito pure l’allora tacito Natale, travolto dal frastuono delle città che hanno bandito la quiete. Aggiungo una censura telegrafica che la penna non riesce a trattenere, però la scrivo sotto forma di invito: Popolo natalizio cerca di limitare al minimo (cancellare sarebbe troppo?) la volgare schiamazzatura dei botti di fine anno. Non fuochi, ma opere di bene.
La conclusione di questa breve nota è doverosamente la stessa della precedente. “La civiltà ha portato l’emancipazione (direi un affrancamento) dalle tradizioni popolari, compreso il cerimoniale natalizio. Negli agglomerati urbani, affollati di palazzi alti, alti, a differenza dei borghi antichi, vige l’incognito sociale. C’è invece tanto bisogno di solidarietà, di sensibilità, di altruismo, di rispetto verso qualunque persona. Comunque, caro Lettore, sia tu urbanizzato oppure periferico, cultore del passato oppure estimatore del tempo presente, giovane col cellulare o anziano col bastone: un fraterno BUON NATALE!” E leggete – è piena di profonde riflessioni – Admirabile Signum.