Nel momento in cui tutte le istituzioni umbre, trascorsa l’emergenza virale, si aprono nuovamente al colloquio diretto con la cittadinanza, riprendiamo anche noi l’incontro a suo tempo interrotto con i più rappresentativi esponenti del governo locale, iniziando da Paola Fioroni, vicepresidente dell’Assemblea legislativa regionale.
Al fine di comporre una panoramica del suo lavoro in Consiglio regionale, proveremo a fare un resoconto dei temi in cui si sta maggiormente impegnando. Da dove inizierebbe?
«Direi di iniziare da quello che è stato il cuore delle attività di questo ultimo periodo, cioè la parte sanitaria. Ambito particolarmente attenzionato sia per emergenza Covid, sia per quelle che sono state le dinamiche distorsive del sistema che ci ha preceduto, ovvero le varie sanitopoli e concorsopoli delle quali stiamo vedendo gli sviluppi anche in questi ultimi mesi. Diciamo che il tema sanità è particolarmente cogente, soprattutto per l’emergenza sanitaria che si è abbattuta su tutto il mondo e anche, naturalmente, sulla nostra regione, che ha dovuto affrontare tale situazione di emergenza con tutte le difficoltà che si portava dietro dal passato. Occorre sottolineare che la sanità umbra ha sempre vantato grandi professionalità e questo è stato di grande aiuto, però, a livello strutturale e organizzativo, c’erano e ci sono una serie di difficoltà che meritano grande attenzione, grande sensibilità e che, soprattutto, ci coinvolgeranno per lungo periodo. Risulta quindi necessario fare una riprogrammazione di tutto il sistema assistenziale, di tutto il sistema socio assistenziale, ospedaliero e delle Aziende sanitarie della nostra regione nell’ottica di un efficientamento, di una razionalizzazione e nella prospettiva – lo sottolineo – di quelle che sono le esigenze dei territori e delle persone. A tale proposito, rispediamo assolutamente al mittente, come Lega e come maggioranza, tutte le accuse, ovvero eccezioni, che vengono mosse all’attuale governance, in primis all’assessore Coletto, di voler portare l’Umbria verso una dimensione assistenziale votata maggiormente al privato che al pubblico, senza una visione basata sull’integrazione tra ospedale e territorio. Falso! Poiché la nostra priorità è proprio quella di razionalizzare e rendere ancora più forte l’integrazione socio assistenziale. In occasione dell’emergenza Covid sono state già poste delle basi di questa azione, necessitati dal dover affrontare varie urgenze, tra le prime delle quali il reperimento della strumentazione necessaria e il raddoppio dei 69 posti di terapia intensiva presenti nella rete ospedaliera. Proprio la settimana scorsa abbiamo votato in sede di Consiglio regionale il nuovo piano di rafforzamento della rete ospedaliera da 25 milioni di euro, rispondendo agli imput emersi dal caso e in risposta all’indicazione espressa dal Ministero della Sanità, che invitava a rendere strutturali le azioni svolte durante l’emergenza per poter rispondere ad una recrudescenza del virus, qualora vi fosse, o a una nuova epidemia. Poi c’è il tema dell’ospedale da campo, sul quale si è tanto detto, soprattutto da parte dei detrattori. Ricordo che i posti mobili di terapia intensiva e semi intensiva, sono stati previsti anche nella mini guida del Ministero della Sanità e lo stesso ministro Speranza ha fatto sue quelle che sono state, durante l’emergenza, le ipotesi di realizzazione indicate dall’Umbria. L’ospedale da campo, previsto con un parziale finanziamento di Banca Italia, ora rappresenta una grande chance per la Regione; una struttura del genere esisteva già, ma non era più idonea alle nuove esigenze manifestatesi, mentre quella prevista, in forma modulare, potrà essere attrezzata a seconda delle diverse urgenze che dovrà affrontare, non escluse le calamità naturali. A tale proposito il Ministero prevede dotazioni di 300 posti dislocati in quattro strutture mobili; l’Umbria ha risposto puntualmente all’indicazione e una risorsa del genere potrebbe anche essere utilizzata per sovvenire ad emergenze extra regionali. Credo quindi si tratti di un progetto senz’altro utile, del quale si è parlato anche troppo e a volte a sproposito».
Rimanendo in tema sanità, si è spenta o arde sotto la cenere la polemica sollevata sulle norme regolatrici l’interruzione farmacologica della gravidanza?
«Purtroppo non si è spenta, perché quando un tema così sensibile viene utilizzato per propaganda politica, porta con sé strascichi che durano nel tempo. Questa Amministrazione non ha mai voluto affermare contrarietà alla libera scelta delle donne o mettere alcuno sotto tutela. Ci siamo basati su valutazioni di tipo scientifico poiché, dal punto di vista legislativo, abbiamo una legge, la 194 del ’78, considerata una legge sull’aborto, ma che in realtà è legge che tutela la maternità e solo secondariamente va a incidere sulla possibilità di un’interruzione volontaria della gravidanza: occorre, in primis, tutelare la vita perché questo costituisce un assunto assoluto! La parte più importante è rafforzare un sistema di servizi di assistenza che vada incontro alle donne che si trovano a concepire un figlio in stato di particolare difficoltà. Solo in un secondo momento si può prevedere la possibilità di un’interruzione di gravidanza. La delibera dell’attuale giunta segue le linee guida del Ministero di seguito ai tre pareri del Consiglio superiore della Sanità – rispettivamente nel 2004, nel 2005 e nel 2010 – i quali esprimono tutti parere negativo al non ricovero della donna nel caso ricorra alla pillola RU486 per interrompere la gravidanza. Non si tratta quindi di tornare indietro, ma di assestarsi sulle linee guida del Ministero. Altro che ritorno al medioevo!».
Questo impegno nella tutela della salute della donna, ci porta verso temi che riguardano il sociale. Vogliamo parlare di case popolari?
«Sono la prima firmataria del progetto regionale di modifica della legge sull’edilizia residenziale e sociale pubblica, perché, in quella che è una dimensione di ascolto e vicinanza delle persone tipica della Lega, abbiamo accolto la richiesta ampia di intervento su questo tema, particolarmente cogente, rappresentando la casa il bene essenziale di una famiglia. Occorreva intervenire per garantire un efficientamento della programmazione e dell’assegnazione delle provvidenze disposte dall’edilizia residenziale sociale e delle cosiddette case popolari. Le modifiche apportate vanno in direzione di equità, favorendo il riconoscimento di eguali diritti e doveri per tutti, parimenti alle esigenze del territorio; in definitiva abbiamo cercato di rispondere con maggior efficacia alle domande delle persone. Si è agito su tre temi: territorio, requisiti, rapporto tra conduttore e Ater. Dal punto di vista territoriale, in quei comuni dove c’è maggior offerta e minore domanda, o viceversa, è anche possibile avere una compensazione, il che permette di rispondere al maggior numero di esigenze. Tale proposizione di legge è stata anche ripresa dal partito Democratico, e questo ci piace, poichè valida ulteriormente la qualità del nostro pensiero! Altro elemento importante considerato, riguarda la possibilità di assegnare anche case che potevano essere sottoposte a manutenzione, in base base a una speciale regolamentazione della Giunta che ne stabilirà i criteri definitivi. Abbiamo poi considerato una maggiore capacità di indirizzo da parte delle Amministrazioni, dotandole di un maggiore punteggio disponibile per contribuire alla graduatoria di assegnazione: dai 4 punti di prima, ora i Comuni dispongono di 6 punti a sostegno de le proprie esigenze Per quanto poi riguarda la parte requisiti, abbiamo, naturalmente, diritti e doveri uguali per tutti, senza alcuna discriminazione e si dovrà, in primis, certificare la non proprietà e il non utilizzo di alloggi idonei al proprio nucleo familiare in Italia e all’estero – questo vale anche per i cittadini stranieri. Ci è inoltre sembrato giusto dare riconoscimento al principio del radicamento sul territorio regionale, ovvero attribuire un maggior punteggio a quanti vi risiedono dai 10 ai 20 anni, avendo questi contribuito alla sua crescita e all’ intero sviluppo economico. Ancora, in merito al criterio di accesso ai bandi, ai 5 anni di residenza e lavoro continuativo nel territorio regionale necessari per la partecipazione, abbiamo aggiunto la norma che prevede altri 2 anni di residenza nel Comune in cui si apre il bando. Infine, dal punto di vista del mantenimento del beneficio e dei diritti di uso abitativo, decade dal beneficio chi non paga per 6 mesi e non trovandosi in regime di morosità incolpevol, come anche chi non si attiene, in maniera continuata, alle norme che regolano la gestione dell’alloggio».
Qual è l’impego dedicato dall’attuale Amministrazione alla tutela della disabilità?
«Quello della disabilità è un mondo che attende ancora di ottenere i giusti riconoscimenti e nostro faro è la convenzione Onu per i diritti delle persone disabili, recepita all’Italia nel 2009, ma di ancora difficile applicazione. Questa fa prescindere il livello di disabilità non tanto da indicatori patologici, bensì dalla caratteristiche, favorevoli o meno, dell’ambiente in cui tale persona si trova a vivere. Prendendo ad esempio una sindrome oggi conosciutissima, l’autismo, a livello regionale, nell’ambito diagnostico e in quello relativo alla continuità di assistenza, si sta facendo un grande lavoro, soprattutto per superare il deficit assistenziale che si verifica al raggiungimento della maggiore età dei ragazzi colpiti: un vero paradosso, quasi che, a quel punto, non fossero più autistici! Per la disabilità in genere, si sta lavorando attorno ai Pap – progetti Assistenziali Personalizzati – , rafforzando le equipe multidisciplinari che fanno le valutazioni di disabilità nei vari distretti sanitari, definendo quali possano essere gli ambiti ottimali di vita e di cura per le diverse esigenze delle persone bisognosa di assistenza. Questa linea viene perseguita attraverso il Prina, un altro piano in applicazione, molto contestato dall’opposizione, dove si vedono rafforzate tutte le forme tradizionali di assistenza – la domiciliarità, la residenzialità e la semi residenzialità – con l’aggiunta di una nuova possibilità di definizione di’assistenza indiretta e l’ampliamento della platea dei beneficiari del cosiddetto “assegno di sollievo”, con un aumento dei criteri utili alla definizione degli stessi. A tale proposito ricordo che è stato anche in seguito alle richieste pressanti della Lega se la previsione di stanziamento del Governo per il 2020, attraverso il Fondo nazionale per la non autosufficienza, ha superato i 10 milioni di euro, con un incremento valutato sulle necessità dell’emergenza Covid. Stiamo quindi lavorando con forza per cambiare prospettiva e poterci finalmente adeguare alle prescrizioni della convenzione Onu».
Dalle persone alla città. Parliamo di Perugia. In questi giorni sta venendo al pettine un nodo urbanistico che fa paura: la “dequalificazione” urbana di Monteluce. Come vede la questione?
«Sono stata, ancora una volta, prima firmataria in Consiglio regionale di una mozione riguardo il comparto Monteluce, poiché l’intervento realizzato costituisce oggi una ferita nel cuore della città e una sconfitta per tutta l’Amministrazione regionale, che ha voluto cavalcare un’ipotesi di finanza creativa, assumendosi un rischio di impresa elevatissimo. Adeguarsi a un progetto di riqualificazione urbana ordinaria avrebbe invece permesso di riqualificare gli immobili, di cui erano proprietari Regione e Università degli Studi, e poterli in seguito rivendere, senza mai perdere il controllo del valore dell’asset immobiliare. Dalla perizia eseguita al conferimento degli immobili, risultò un valore degli stessi pari a 43 milioni di euro; negli anni vi è poi stata una serie di compravendite attraverso Nomura, un fondo immobiliare chiuso gestito da Bpn Pariba; oggi infine – lo riferisce l’ultima relazione presentata dal gestore – le quote del comparto Monteluce, valgono zero! Parliamo della svalutazione totale di un patrimonio immobiliare che era in capo alla Regione! Ora, naturalmente, la questione è ingestibile, a motivo dell’indebitamento con banche e fornitori umbri per cifre che superano il valore del fondo stesso. Che fare? La situazione è grave, soprattutto a danno dei tanti fornitori e sub fornitori che non sono mai stati ristorati per i lavori eseguiti e i quali, nel caso il fondo subisse liquidazione coatta, sarebbero gli ultimi a vedere riconosciuti i propri diritti. L’attuale Amministrazione regionale sta cercando di promuovere tutte le possibili azioni per scongiurare la conclusione peggiore, per far ottenere il dovuto alle aziende creditrici e subito dopo, rimettere mano alle sorti urbanistiche di un quartiere che, da fiore all’occhiello della città, si è trasformato in una voragine di risorse economiche e in una ferita del territorio urbano difficile da far rimarginare. Molto difficile!».
Marco Nicoletti