Nel Golfo di Napoli, a metà strada fra il Vesuvio e i Campi Flegrei, sta lievitando un “rigonfiamento” dal quale sono state registrate trentacinque emissioni attive di gas.
La scoperta di quello che viene chiamato un “duomo sottomarino” – è stata fatta durante una campagna oceanografica coordinata da Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e Università di Firenze ed è stata pubblicata sulla rivista “Scientific Reports”. Secondo gli scienziati il ‘rigonfiamento’ potrebbe precedere la formazione di un vulcano ma al momento non rappresenta alcun pericolo pur trovandosi ad appena 5 chilometri dal porto e a 2,5 dall’area di Posillipo. Nel rapporto che ha accompagnato la scoperta, viene precisato che non si registra al momento alcuna risalita di magma, ma solo di gas, per lo più anidride carbonica. Durante i rilievi nei pressi del ‘Banco della Montagna’ sono state scoperte 35 emissioni di gas attive. È stata registrata una la leggera flessione del pH che non sembra avere conseguenze particolari neppure sulla vita del fondale. Il ‘rigonfiamento’ è alto circa 15 metri e copre un’area di 25 chilometri quadrati. Si trova a profondità variabili tra 100 e i 170 metri. È il primo autore dello studio, Salvatore Passaro, dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Cnr a fornire i numeri che danno l’idea dell’importanza della ricerca. “Durante i rilievi – racconta Passaro – sono state scoperte 35 emissioni di gas attive e più di 650 piccoli crateri collegati a emissioni di gas avvenute negli ultimi 12mila anni”. In passato si riteneva che tali ‘rigonfiamenti’ fossero dovuti a frane e smottamenti sottomarini, “ma oggi sappiamo – spiega – che una tale conformazione è collegabile a emissioni di gas”.
A queste latitudini potrebbe sembrare tutto (quasi) normale, ma non è così. A differenza di quanto accade ai Campi Flegrei “dove i gas hanno un ruolo importante nella deformazione del suolo – spiega Guido Ventura dell’Ingv, altro autore della ricerca – il meccanismo che innesca il fenomeno che avviene nel Golfo di Napoli non coinvolge direttamente il magma”. Non si tratta, dunque, di una struttura vulcanica primaria, come i cosiddetti ‘duomi di lava’. Secondo i ricercatori, a provocare il rigonfiamento che deforma il fondale marino è la risalita di gas da una profondità compresa fra 10 e 20 chilometri. Una risalita attraverso condotti verticali del diametro che va dai 50 ai 200 metri, che piegano e fratturano i sedimenti marini. Si tratta quasi interamente di anidride carbonica, con una composizione simile a quella di Vesuvio e Campi Flegrei. Caratteristica che indicherebbe, secondo gli autori dello studio, una comune sorgente di gas nelle profondità del mantello. “La differenza è nella temperatura – spiega Ventura – perché i gas del ‘duomo’ sono freddi mentre quelli dei due vulcani sono caldi, in quanto vengono riscaldati dal magma.
Anche se il ‘duomo’ non è per ora associato alla risalita di magma, secondo gli scienziati non è escluso che strutture di questo tipo possano precedere la formazione di vulcani sottomarini o campi di sorgenti idrotermali. Ci sono dei precedenti: è accaduto in Giappone, Canarie e Mar Rosso. In altri luoghi, però, non si è verificato, come al largo delle coste di Africa, Brasile, Svezia e Norvegia, dove pure sono state scoperte strutture simili. Dopo la pubblicazione sulla rivista Scientific Reports, i ricercatori non si fermano: il fenomeno, infatti, rappresenta un punto di partenza per la comprensione dei fenomeni vulcanici sottomarini nelle zone costiere, che oggi possono e devono essere studiati con modelli digitali tra i più avanzati.