CASTIGLIONE DEL LAGO – Una Venezia tutta d’oro è quella apparsa ieri sera al pubblico che affollava il teatrino di palazzo ducale. Si sono dovute aggiungere delle sedie perché l’attrattiva era di altissimo spessore. Il Festival di Musica da Camera, promosso dall’amministrazione comunale e impreziosito dal personale contributo della marchesa Marzia Crispolti Zacchia, ha ospitato Le Harmoniche Sfere, un ensemble strumentale di Ginevra che fa della riedizione del barocco veneziano il suo repertorio tematicamente attraente.
Ripercorrere gli splendori della Serenissima con la musica di Vivaldi è stata una formula che non poteva che avere successo. Troppe le suggestioni e le immagini legate alla rievocazione di quella emblematica sonorità tardo barocco che la musica del Prete Rosso evoca, con lo spessore diafano della pennellata di un Tiepolo e con la penetrante realtà di un Longhi.
Chiunque suoni Vivaldi fa la sua fortuna e stabilisce col pubblico un legame vincente sin dai primi accordi. Se poi, come nel caso dei ginevrini, ci aggiungete scientificità e un pizzico di filologia, allora il godimento è assicurato.
Filo rosso della serata è stata la presenza vocale di Maria Irene Fantini intorno alle cui arie si sono fluidamente coagulati gli strumentisti, a cominciare dal cosidetto basso continuo, il cembalista Paolo Corsi e il violoncello di Bäbel Hartrumpf.
Ha cominciato la gorgheggiante solista con la prima delle arie della opere e delle cantate di Vivaldi che oggi sono uno dei soggetti maggiormente indicizzati dalla critica. E’ un mare di musica sommersa, celata dalla fama delle Quattro Stagioni, che ogni anno produce sorprese discografiche e eccitanti serate di festival, come quella che abbiamo vissuto ieri sera.
“Sovente il sole”, dalla serenata “Andromeda liberata” è stata la prima tappa di una riscoperta entusiasmante. Erano queste le musiche che intonavano le canterine dell’Ospedale della Pietà e di cui un bellissimo, quanto sconosciuto di Anna Banti ci ha offerto molti anni fa una rievocazione. In tempi più recenti Tiziano Scarpa, col suo Stabat Mater ha saputo offrirci anche una visione più moderna del rapporto che legò il maestro veneziano, sacerdote che non diceva messa, con la sue Putte. Padre-padrone di trecento ragazze tutte musicalizzate, didatta che ricorreva abitualmente alla loro inventiva, ma che poi si rivelava spesso geloso dei loro progressi e della loro prorompente, giovanile esuberanza.
L’inserimento di un’aria di Galuppi, dalla cantata “La gelosia” ha prodotto lo scarto di una generazione. Detto il Buranello per la sua nascita insulare, Galuppi operò anche in Russia alla corte di Caterina seconda, guadagnandosi una citazione di un episodio nelle Memorie di Casanova. La sua ritmicità e il rapporto con la poesia di Metastasio sono già di scintillio mozartiano.
Ritorno a Vivaldi con le suggestioni del concerto “La notte”, con lo straordinario flautista Olivier Reihl. Qui c’è il brivido delle oscure trame che si tessevano sui canali della Serenissima, nelle calli e nei campielli dove la notte era propizia all’incontro con lemuri e fantasmi. Una musica di assoluta modernità, quasi dal brivido freudiano.
La trio-sonata RV 61 ha campionato la rigorosa scrittura del Vivaldi camerista, con la violinista Monteventi che ha imboccato il flauto dolce suonando con vera virtuosismo. La successiva aria, “Tu dormi in tante pene” dall’opera “Tito Manlio” ha rievocato la figura di Vivaldi esecutore.
Ce l’ha spiegato Valerio Losito quando, dimesso il violino, ha impugnato una viola d’’amore di fattura inglese. Con uno strumento del genere il Prete Rosso incantava il suo pubblico, producendo accompagnamenti in duetto con la voce, dove il fascino delle corde di risonanza produceva atmosfere di magia acustica.
Dopo aver sfiorato la figura dell’altro veneziano, Tommaso Albinoni, con una Sonata da chiesa che tanto somigliava a quella da camera, ecco il finale, un dittico di cantata” Cessare, ormai cessate” RV 684 e la rapinosa aria di Ruggiero dall’Orlando Furioso. E’ stata una delle prima opere riesumate dalla Vivaldi-Riscoperto e vale tutta la sua durata. Ora l’ensemble ginevrino era al completo e ha chiesto dal pubblico un meritato, prolungato applauso, confermando la felice impostazione di un appuntamento che arricchisce le cronache castiglionesi di un prezioso ricordo.
Stefano Ragni