Spettacolo di musica e danza stamattina alle 11 a Foligno, per un San Domenico gremito di ragazzi delle scuole.
Una platea piena e mormorante che progressivamente si incanta davanti allo spettacolo offerto dalla ballerina Immaculada Murciano e dal pianista Joseè Manuel Cuenca.
Sono solo in due ma in un’ora e passa di spettacolo riescono a evocare tutti i colori e i profumi dell’Andalusia. “Terra estrema” l’ha definita l’assessore all’Istruzione, Paola de Bonis che, essendo anche docente di spagnolo, sa di cosa parla. Li’ dove il calore fa bollire anime e cervelli vige la legge dal Flamenco. Un modo di vivere, una filosofia, nata dalla forza di una terra selvaggia, bruciata dal sole. Il flamenco nasce dalla terra, dal canto di chi la coltiva, il fellah, appunto. Terra avara di tutto, che non dà gioia, ma solo dolore. In una landa dove non esiste ombra si agita lo spirito del Duende. Così Garcia Lorca definiva poeticamente la inquietudine, ma in realtà la parola, in andaluso, può voler dire sia “folletto” che tessuto prezioso. Prezioso come la mantilla dai colori sgargianti che Immaculada ha agitato in alcuni numeri della sua vorticosa danza. Nove i costumi e le scarpe che la affascinante ballerina ha cambiato nel corso della mattinata, segnali di eleganza storica con cui le donne andaluse affrontano una danza che è innanzi tutto un rito evocativo, quello di un corpo orgoglioso con cui si manifesta lo sdegno, l’amore, l’invettiva, il dolore.
Oppressi per secoli dagli arabi gli spagnoli hanno sfidato i dominatori col linguaggio dei gesti: donne che si rifiutavano, che resistevano, che opponevano alla violenza il muro di braccia e mani sfuggenti, sibilanti come serpenti, minacciose nel fendere l’aria come impugnassero spade taglienti.
Donne straordinarie, come lo è stata Immaculada nel percorrere la platea del san Domenico con uno slancio irresistibile, confortata dai ritmi che si levavano dalla tastiera di Cuenca, pianista più che provetto.
Ha fatto bene il direttore artistico della Gioventù Musicale, Giuseppe Pelli, a irrorare un appuntamento inaugurale con una proposta che non poteva che toccare l’immaginazione e la evocatività di chi il flamenco non sa neanche che esiste. I nostri ragazzi forse non lo sanno, ma nel 2010 l’Unesco lo ha nominato “patrimonio immateriale dell’Umanità”, assegnandogli la dignità di uno dei tanti tasselli che compongono il mosaico della civiltà europea.
Generosamente, con una dedizione degna del miglior palcoscenico, Immaculada ha saputo danzare con tutte le risorse di un grande mestiere. Ventaglio, nacchere, tacchi che battono sul legno: il suo corpo si faceva sonoro anche quando il volto assumeva i tratti della ritualità più espressiva o quando le dita, a grappolo frenetico, disegnavano in aria suggestioni impalpabili.
Difficile riassumere cosa di bello facesse Cuenca sulla tastiera dal Fazioli. Innanzi tutto con straordinaria raffinatezza per ritmi di tango, petenera, taranta, sevillanas, zambra. Un respiro piacevolmente e limpidamente popolare, con capacità comunicative impressionanti e un gusto raffinato che ha ridestato partiture dello stesso Garcia Lorca, di Turina, di Granados, e Biendia Pico. L’occasione giusta anche per inquadrare autori legati a una musica la cui forza evocativa non conosce eclissi.
Non stremati dalla impegnativa prestazione Immaculada e Jose Manuel hanno anche la compiacenza di offrirci un bis per un appuntamento di inizio anno scolastico che non poteva essere migliore.
Stefano Ragni