di Adriano Marinensi – Anche questa volta per agganciare un ricordo lontano, partirò da una notizia recente: “Ritirata la medaglia conferita a Wilhelm Kusterer da un Sindaco tedesco”. Detta così, non è manco una notizia che fa notizia. Vuol dire molto invece se si scopre che l’ultranovantenne signor Kusterer è uno dei criminali di guerra che parteciparono all’eccidio di Marzabotto.
La medaglia gli era stata appuntata sul petto – ha detto il Sindaco – “per il suo impegno sociale nella comunità”. Poi, quando ha saputo che si trattava di un condannato all’ergastolo in Italia, allora è corso a riprendersela. Non gli hanno creduto, però lui così l’ha raccontata. L’onorificenza sarebbe stata quanto meno dissacrante per la memoria di quanti persero la vita a Marzabotto. E fortemente offensiva per i loro discendenti.
Marzabotto è un piccolo borgo dell’Appennino, poco distante da Bologna. Gli aguzzini di Hitler lo fecero diventare un cimitero. Accadde tra il 25 settembre e il 4 ottobre 1944. Da molti è considerato un crimine contro l’umanità. Di sicuro fu un massacro compiuto a danno della popolazione civile di Marzabotto, Monzuno e Grizzara Morandi. L’aggressione nazista di quell’autunno provocò 770 morti. Messi insieme agli altri causati in quel breve territorio durante la guerra, il totale accertato dal Comitato Onoranze fu di 1676.
Il feldmaresciallo Kesselring affidò al maggiore Walter Reder la scellerata operazione. I tedeschi ebbero notizia che, in quei luoghi, operava una brigata partigiana, a loro giudizio, con l’appoggio degli abitanti. Occorreva quindi una punizione esemplare. All’alba del 24 settembre, le S. S. si mossero in forze, con una vasta operazione di rastrellamento. Sopra una lapide, a Marzabotto, sta scritto: “Ogni casa, ogni campo, ogni vigna, ogni sentiero, ogni fosso furono teatro di esecrandi tragedie, macchiati di sangue innocente … luoghi di vita quotidiana fatti bolge di barbarie e di violenza … per cancellare ogni traccia di vita umana”. Il primo risultato della loro condotta selvaggia lo ottennero in località Monte Sole: 195 vittime, tra le quali 50 bambini.
L’ordine dunque venne dato dallo stesso comandante al quale Piero Calamandrei ha dedicato la “lapide ad ignominia” che si trova nel belvedere superiore della Cascata delle Marmore. Dice: “Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani, ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi. Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio …” (il riferimento che vi si legge non può escludere Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema n. del r.). E conclude: “Su queste strade se vorrai tornare, ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi con lo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre RESISTENZA”.
Dopo la fine della guerra, il maggiore Reder venne processato e condannato all’ergastolo. Nel 1980, ottenne la libertà condizionale e, nel 1985, la liberazione anticipata. E’ morto, a Vienna, nel 1991. Altri 17 imputati comparvero dinnanzi al Tribunale militare di La Spezia che, a 10 di essi, comminò l’ergastolo, tutte pene in contumacia e confermate in Appello. Anche a carico di Wilhelm Kusterer, il medagliato del Sindaco, uno dei numerosi criminali nazisti nascosti dalla cattiva coscienza di un Paese che ha cercato, per non poco tempo, di saltar via dall’ombra della sua storia. Lo stesso Paese che ha accolto Kappler, il boia delle Fosse Ardeatine, fuggito, in circostanze da messa in scena, mentre era, ergastolano pure lui, ricoverato all’ospedale Celio di Roma.
A Marzabotto, Salvatore Quasimodo ha scritto una epigrafe. Comincia così: “Questa è una memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo voluto dai nazisti di von Kesselring e dai loro soldati di ventura dall’ultima servitù di Salò”.
Non si erano contentati i feroci seguaci di Hitler della carneficina di Sant’Anna di Stazzema, lo stesso anno, il 12 di agosto. Quel giorno, molti degli uomini si rifugiarono nei boschi. Rimasero donne, vecchi e bambini, massacrati a centinaia senza alcun motivo riferibile ad un atto di guerra. Più avanti, in sede processuale, venne definita “azione terroristica, premeditata e curata in ogni dettaglio per distruggere il paese e sterminare la popolazione”. Di diverso avviso soltanto la Procura di Stoccarda che, nell’ottobre 2012 ha addirittura archiviato l’inchiesta perché “non è possibile – ha scritto – accertare con sicurezza che la strage sia stato un atto programmato e una azione di rappresaglia nei confronti della popolazione civile”.
Al Comune di Stazzema, nel 1970, è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare in quanto “vittima di orrori dell’occupazione nazista, che causarono, quel 12 agosto, in poche ore, 560 morti”. Come a Marzabotto, una furia omicida, animalesca e implacabile, devastatrice d’ogni valore umano. Su una delle “pagine” di Internet si legge: “Un episodio simbolico fu il massacro della famiglia Tucci. Antonio Tucci, originario di Foligno, Ufficiale di marina a Livorno, aveva trasferito i propri congiunti a Sant’Anna di Stazzema, ritenendolo un luogo lontano dai pericoli della guerra. Gli uccisero la moglie e sette figli, il più grande dei quali aveva 15 anni”.
Seminarono morte in ogni dove. Per esempio a Casaglia ne uccisero 93, venti erano bambini dai 2 ai 10 anni; 62 a Caprara e ancora 44 a Cerpiano, 59 a Creda, 52 a S. Giovanni di sotto. Queste e molte altre, tutte comunità agricole minime, alcune rimaste senza abitanti. La crudeltà non poté avere paragoni ed è restata a testimonianza dei comportamenti nefandi dei quali è doveroso il ricordo e il monito. Ed anche il ritiro della medaglia all’ergastolano senza galera può essere occasione utile per rendere omaggio alle migliaia di persone innocenti che a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema e tante altre altrove conobbero la crudeltà senza limiti, per mano di uomini senza dignità di uomini.