di Adriano Marinensi – Terni: Salone del Museo Diocesano gremito di pubblico, compresa una folta rappresentanza di studenti del Liceo classico. Parla il prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, sul tema: Il segno e il messaggio. Raffaello nelle Stanze Vaticane. L’ottima organizzazione è di Manuela Canali. Introduce Roberto Stopponi e presiede il Vescovo Giuseppe Piemontese.
Il Papa Giulio II della Rovere (1443 – 1513) aveva poca stima del predecessore Alessandro VI. Anzi lo considerava corrotto e simoniaco. Infatti, il Borgia non era stato uno stinco di santo. S’era portato in Vaticano una famiglia numerosa: una amante storica, una amante giovane e tre figli, due dei quali a sua (cattiva) immagine e somiglianza. Giulio quindi si rifiutò di abitare nello stesso appartamento e scelse per sua dimora altri ambienti nel Palazzo Apostolico. Per affrescarli convenientemente, chiamò Raffaello Sanzio (1483 – 1520), il grande pittore dall’arte insigne e dalla vita breve. Lo “stupor mundi”, amato dalle donne e invidiato dagli uomini per la sua avvenenza, si mise al lavoro e fece un capolavoro.
Dell’Urbinate e della sue mirabili “stanze”, il prof. Paolucci ha parlato per oltre un’ora e credo nessuno dei presenti si sia perso una parola. Narratore chiarissimo, ha illustrato l’opera raffaellesca, riassumendone i particolari, in una eccellente lectio magistralis. Di Giulio II, Paolucci ha detto che “aveva più dimestichezza con la spada che con l’Aspersorio”. Fece guerra a mezza Europa in quanto riteneva la Chiesa – per diffondere il messaggio celeste – avesse bisogno del potere sulla terra. Però amava anche l’arte e Raffaello faceva al caso suo.
Siamo all’inizio del XVI secolo quando il pittore mette mano alla grandiosa opera. Celebra le allegorie della giustizia, della filosofia, della poesia e delle virtù teologiche. Siccome il dovere primario dell’uomo – ha affermato Paolucci – è la conoscenza, ecco il dipinto raffigurante i grandi sapienti del passato. Al centro si sono i protofilosofi Aristotele e Platone, insieme ad alcuni altri tra i più insigni pensatori: Socrate, Pitagora, Diogene, Averroè. C’è persino Michelangelo che, proprio in quel tempo, qualche isolato più in la, stava immortalando il suo genio nella Cappella Sistina. Su un’altra parete, i teologi Padri della Chiesa (Ambrogio, Agostino ecc.) sono intorno all’altare della Trinità nella contemplazione del Verbo incarnato.
Ed ecco la rappresentazione allegorica della giustizia con Giustiniano, autore del Corpus iuris. Quindi il tema delle virtù cardinali e teologali e altrove il trionfo della poesia con Orazio, Virgilio, Dante, Petrarca e persino Saffo. Ci sono gli interventi della Divina provvidenza: Eliodoro sorpreso a rubare i tesori del Tempio, scacciato da Dio; Leone Magno che ferma Attila sul Po (fatto storico intrecciato alla leggenda); la liberazione di S. Pietro dalla prigione e l’Angelo che irrompe nella sua cella come palla di fuoco. Ha spazio anche il Miracolo di Bolsena e il Corporale custodito ad Orvieto. Oltre all’incendio nel Quartiere di Borgo, attiguo al Vaticano, e l’intervento miracoloso che spegne le fiamme. L’ultima grandiosa scena non l’ha dipinta Raffaello, ma gli allievi guidati dai suoi disegni. Si ammira uno spettacolare combattimento, protagonista Costantino che vince Massenzio. Raffaello Sanzio era morto il 6 aprile 1520, a soli 27 anni, ugualmente lasciando, nel grande libro di storia dell’arte italiana, una traccia profonda. Ebbe straordinarie onoranze funebri alla presenza del Pontefice.
La conclusione di questa mia breve (e lacunosa) nota di cronaca, è doveroso dedicarla all’importanza dell’iniziativa svoltasi nel Museo Diocesano. Ed alla sua alta valenza culturale, un “pane”, a Terni, tutt’altro che quotidiano. Manifestazioni di tal genere, arricchite da relatori di elevata competenza e capacità narrative, si differenziano, per forma e contenuto, da certi programmi contrabbandati per occasioni di crescita sociale. La città ha urgente bisogno di saltar fuori dalla sua ombra, che le deriva da un provincialismo frenante, da rimuovere con decisione. Altrimenti continuerà anche la diaspora, la dispersione dei valori della politica.