di Adriano Marinensi -Se si potessero mettere insieme tutte le vittime di incidenti mortali, avvenuti sulle strade italiane, negli ultimi vent’anni (l’Umbria, purtroppo, ha dato il suo contributo), ne verrebbe fuori un cimitero gigantesco.
Perché, la circolazione che uccide, in città e fuori, costituisce un rischio immanente ed una pesante questione umana, sociale, economica. Le cause sono diverse e gli effetti altamente tragici. La eccessiva velocità innanzitutto, le manovre pericolose, l’inosservanza delle norme, l’irresponsabilità, l’usura dei mezzi.
Documentano le statistiche che una elevata percentuale va attribuita a chi guida sotto l’effetto di alcol e droga, comportamento che prefigura una ipotesi di reato penale e una menda morale, assai pesanti. Chi si mette alla guida in tali condizioni, sa che il suo veicolo può diventare un’arma letale, per se e per gli altri. Una condizione non estranea alla sua volontà e per questo meritevole di una accusa adeguata ed una pena giusta. Quindi, bene sta facendo il legislatore nel codificare norme di contrasto, imputando i colpevoli, ubriachi o drogati, di omicidio stradale.Mi torna alla mente – è soltanto uno dei tanti esempi possibili, riferiti al passato non remoto – quanto accadde, nel dicembre di cinque anni fa, a Lamezia Terme. Un giornale, la tragedia la riassunse nel titolo di cronaca : “Piomba su un gruppo di cicloamatori, drogato e senza patente”. Risultato, sette lenzuoli bianchi sull’asfalto. Il sottotitolo diceva : “Sfreccia a 130 all’ora in un tratto dove il limite è di 50”. Il riferimento che ho scelto può apparire estremo, ma non diminuisce di molto la colpevolezza se la vittima è una sola e il conducente in stato di alterazione mentale, dovuta all’assunzione di sostanze che riducono le capacità di guida. Ci si è accorti che non era più giusto rubricare il delitto come colposo, quando la componente della volontarietà risulta palese.
Dunque, ben vengano le nuove norme penali. Però, occorrerà, da subito, rendersi conto che la severità delle pene non basta. Anzi, a volte, diventa un “deterrente” di difficile attuazione. Ha scritto, in un titolo recente, Carlo Nordio che di materia penale se ne intende : “Più prevenzione, non bastano le sanzioni”. L’argomento del suo articolo era la vicenda delle 4 banche italiane fallite. Però, il principio enunciato nel titolo ha valenza generale. Penso allora a quanti giovani oggi fanno uso di alcol e droghe. E’ la peggiore piaga sociale che ha fatto “ammalare” il meglio della società civile e le soluzioni, sin qui adottate, non hanno prodotto positività rilevanti. Una parte significativa di ragazzi è finita nel limbo dell’emarginazione, rappresentato dalle comunità terapeutiche, e nessun freno d’altro genere ha funzionato. Quindi, dobbiamo tristemente prendere atto che sono in tanti i giovani, i quali cercano nello “sballo” la via d’uscita dai loro turbamenti. E’ una situazione di fatto impossibile da ignorare e richiede un progetto di maggiore incisività – avente a fondamento la prevenzione – da parte delle Istituzioni, della scuola, dei mezzi di informazione, della comunità scientifica, delle forze di pubblica sicurezza, della Magistratura. Di recente, a Terni, la Polizia stradale, durante un controllo nelle adiacenze si due locali notturni, ha ritirato 10 patenti di guida, sette per tasso alcolico superiore al consentito e tre per assunzione di sostanze stupefacenti. Tutto questo è accaduto nell’arco di poche ore. Ovviamente, in prevalenza, i trasgressori erano giovani. Fosse stata in vigore la nuova legislazione e qualcuno di loro avesse causato un incidente mortale, oltre al ritiro del documento di guida, arresto, processo e condanna. C’è dunque da preoccuparsi per le conseguenze che le norme potrebbero causare, se lasciate agire da sole. Ed anche senza più rigorosi controlli sui locali dove è possibile trovare “incentivi” fuorilegge.
L’alterazione dello stato mentale di chi guida, causata in modo cosciente e colpevole – giova ripeterlo – in caso di conseguenze mortali o di qualsiasi altro tipo, è un atto di estrema gravità. Mi metto però nei panni di un Giudice che deve condannare – dura lex, sed lex – un diciottenne, magari incensurato, fino a 18 anni di reclusione : la sento come una decisione che impegna profondamente la coscienza e rende la giustizia una sorta di strumento destinato a gettare nella disperazione tante famiglie. Eccolo dunque un motivo di riflessione, scaturito dal convincimento che aggravare le pene per l’omicidio stradale non garantisce l’eliminazione del reato. E’ invece il riflesso sanzionatorio sui giovani a far paura.
Sarà allora indispensabile attivare da subito una massiccia opera di informazione e di convincimento nel mondo dei giovanile, di richiamo al loro senso di responsabilità civile, con interventi autorevoli, di alto livello culturale e sociale, capaci anche di allontanarli dall’alcol e dalla droga. E – siccome siamo in tema di dipendenze dannose – pure dall’uso del tabacco, un vizio in fase di espansione sin dall’adolescenza, con serie conseguenze di ordine sanitario. La garanzia della salute dev’essere una priorità assoluta. Così come l’ incolumità fisica e psichica. La conclusione riporta l’attenzione sull’omicidio stradale : dall’entrata in vigore della legge, il reato ti porta dritto in galera e quindi evitare di incorrervi diventa la parola d’ordine per tutti. Oltre ad attribuire ai “soggetti socialmente responsabili” il dovere di mettere in campo azioni di contrasto in grado di abbassare il rischio di incorrere nel pesante castigo.