di Francesco Castellini – Cure placebo, una follia ben retribuita. Uno degli ultimi casi che ha fatto molto scalpore è quello del piccolo Francesco affetto da una otite curata con rimedi omeopatici trasformatasi poi in encefalite. Il bambino morì all’ospedale Salesi di Ancona. Si poteva salvare con un antibiotico. Invece quell’infuso di Camomilla, Gelsemium, Hipericum e altre piante antinfiammatorie, si è rivelato per lui inutile e fatale.
Del resto queste sono le condizioni dei cultori della omeopatia: niente tachipirina tranne in caso di febbre oltre i 43 gradi, vietate le vaccinazioni perché possono compromettere l’efficacia del trattamento, pozioni e pasticchine prive di qualsiasi principio attivo ingerite solo per far scattare le presunte autodifese naturali del paziente.
Eppure quasi un quinto degli italiani ricorre a questi rimedi, 9 milioni di persone nel nostro Paese assumono tali “balsami” almeno una volta all’anno per contrastare raffreddori e influenza, patologie articolari o muscolari, problemi gastro-intestinali, allergie e disturbi dell’apparato respiratorio, digestione, insonnia.
Sono i medici, soprattutto quelli di famiglia, i migliori alleati dell’omeopatia
Secondo l’ultima indagine ufficiale sul settore il 55% degli utilizzatori di questi pseudo-farmaci lo fa su loro indicazione. Il 39% si lascia guidare dalla farmacia di fiducia, il 26% è stato indirizzato all’omeopatia dalle strutture sanitarie pubbliche, il 17% dallo specialista della patologia. Il 26% si reca dall’omeopata, sicuramente un costo aggiuntivo per il paziente. In Italia sono circa 30 le aziende dell’industria omeopatica presenti in particolare in Lombardia, Liguria, Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Lazio, Campania, Sicilia. Gli addetti del settore sono circa 4.000 persone.
Il comparto vale 300milioni di euro in termini di sell-out.
Ma contro questo mondo “alieno” si muove adesso una parte della scienza medica che la definisce “non più efficace di un bicchiere di acqua fresca”.
Sono già 57 fra ospedali e ambulatori, società scientifiche, fondazioni e associazioni, tra cui il Policlinico Gemelli e il Campus biomedico di Roma, l’Istituto europeo di oncologia di Milano fondato da Umberto Veronesi, il Centro di riferimento oncologico di Pordenone e il Policlinico Gemelli, che si sono schierati apertamente per dire no all’omeopatia: e l’elenco è destinato ad allungarsi.
L’iniziativa è dell’imprenditore della Sanità Nicola Bedin, 42 anni, che ha deciso di chiamare a raccolta le strutture ospedaliere che bandiscono le cure omeopatiche tra le loro mura e di pubblicare il sito no-omeopatia.it, dove raccogliere tutte le adesioni. E non a caso la pagina Internet si apre con la frase di Rita Levi Montalcini “L’omeopatia è una non cura, potenzialmente pericolosa, perché sottrae i pazienti da cure valide”.
«Aggiungo – dice Bedin – che oggi i preparati omeopatici in Italia sono fiscalmente detraibili. La Fondazione Gimbe ha stimato che questo provoca uno spreco di risorse pubbliche pari a 50 milioni l’anno. Fondi che potrebbero invece essere impiegati in modo virtuoso, risolvendo un problema come la carenza di medici. Si potrebbero formare duemila nuovi specializzandi. I posti oggi sono ottomila: diventerebbero diecimila, il 25% in più. Se si ha a cuore il futuro del Paese non si può non fare questi ragionamenti».